E se fossimo tutti bestie violente come voi?

Ehi tu! Sì proprio tu che ti stai lamentando di quella coppia omosessuale che si tiene la mano: ma scusa che ti frega? Ti fanno schifo, dici. E non li capisci. Ah, e li vorresti pure picchiare.
Ok. Fai come ti pare. Picchiali pure.
Ma sì dai, che da oggi in poi ognuno di noi possa insultare, picchiare e uccidere tutti coloro che fanno cose che non ci piacciono o che non capiamo. La legge della jungla, no?
Ma stai attento perché sicuramente anche tu farai qualcosa che non piace a qualcuno o che non piace a me.
Da oggi guardati le spalle se per caso sei uno di quelli che nella foto profilo ci mette anche la ragazza, perché io proprio non capisco: ma se il profilo è tuo perchè ci devi mettere la faccia di qualcun altro?
E non ti avvicinare a me se pubblichi foto che ti sei fatto davanti allo specchio in palestra. Mi fa schifo e un pugno in faccia non te lo toglie nessuno. E non postare nemmeno tue foto con aforismi e soprattutto smettila di parlar male di quella persona senza nominarla: come se non lo sapesse tutto il mondo che avete litigato!
Fai attenzione anche nel caso in cui tu non sappia utilizzare il congiuntivo e gli accenti. Facciamo anche l’uso dell’h nella coniugazione del verbo avere. Al terzo errore ti vengo a cercare a casa.
Ah! e ricordati di non andare in giro con i pantaloni sotto al culo. E assicurati anche che ti coprano le caviglie.
Non ti sposare mai, perché io non credo nel matrimonio. E non fare figli che già le risorse nel mondo sono poche e gli orfani sono tanti.
Non buttare le cicche a terra e i fazzoletti fuori dal finestrino della macchina. Te la graffio tutta se lo fai.
Non mangiare carne e pesce altrimenti giuro che ti ficco due dita in gola e ti faccio vomitare. E se non fai la differenziata ti differenzio il pene dal resto del corpo.
Ah! un’ultima cosa.. se sei razzista, omofobo, maschilista, xenofobo, fascista o leghista, (che poi è la stessa cosa) occhio che ti sparo dal balcone di casa.

Dito medio

Sono arrabbiata. Anzi no, sono incazzata nera. E sono felice di esserlo, perché la rabbia è la mia migliore amica.

È il salvagente che mi permette di non annegare nel dolore per i miei fratelli, morti a migliaia nel mio mare sotto gli occhi indifferenti di coloro che dovrei sentire carne della mia carne e che, invece, sono solo stranieri nel mio cuore.

La rabbia è l’unica arma che ho per sopravvive in Italia, il mio Paese in guerra, bombardato d’odio. Un Paese dove chi accoglie viene arrestato e chi lascia morire governa; dove chi è fascista esercita una libertà di opinione e chi ama una persona dello stesso sesso non ha nemmeno il diritto alla famiglia.

In nome di tutte le persone morte in mare, di tutte le donne violentate e uccise a causa di una cultura patriarcale e maschilista, in nome di tutti gli amori ostacolati e di tutti i principi violati, io rivendico il mio diritto alla rabbia e alla disobbedienza.

Rivolta contro l’ingiustizia, la rabbia è un potente motore verso il cambiamento. Quindi da ora in poi, chi cercherà di zittirmi riproverandomi di essere arrabbiata, non farà altro che motivarmi ancora di più.

Ed è a costoro, che con questo post rivolgo un combattivo e rabbioso dito medio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi fanno paura gli stranieri

Non mi fa paura Salvini. Né mi fanno paura i razzisti che lo seguono.

Temo i giusti che rimangono in silenzio. Quelli che non si espongono per non entrare in conflitto. Coloro che non si schierano per par condicio o per diplomazia. E mi fanno paura coloro che continuano le loro vite come se nulla fosse.

Mi fanno paura gli ipocriti che si nascondono dietro le varie “E la guerra in Siria?”, “E gli italiani?, “e allora il Pd?”.

Temo quelli che celebrano le giornate della memoria, che postano dappertutto link per ricordare i vari genocidi e poi si voltano dall’altra parte quando il loro stesso governo è complice di un olocausto.

Mi fanno paura quelli che credevo fossero miei amici, quelli che pensavo stessero dalla parte giusta della storia e invece no.

Mi fanno paura gli stranieri, coloro che non rispettano la Costituzione, quelli che non portano avanti gli ideali e i valori del mio Paese. E che nella maggior parte dei casi non sono immigrati, ma italiani.

 

 

 

 

 

 

 

Italia mia

Il mio Paese è  in guerra. Solo che ad essere bombardati non sono le città ma i cuori, e il campo di battaglia è dentro le persone, non fuori.

Il mio Paese sta sanguinando. I suoi figli Rom, gay e di colore vengono picchiati, feriti con pistole, minacciati di morte.

Il mio Paese ha un cimitero grande quanto il mare e un Ministro dell’odio che lavora, instancabile, per riempirlo di cadaveri.

Il mio Paese è  spaccato a metà: da una parte il disprezzo, dall’altra la compassione. Da una parte l’ omissione di soccorso, il razzismo, l’omofobia e dall’altra l’accoglienza, la lotta contro le ingiustizie, il desiderio di libertà e uguaglianza.

Il mio Paese è  in guerra. Ma ancora non lo sa.

Le urla senza voce

Arrivano nei momenti di solitudine, quando c’è silenzio nella stanza e nella mia testa. Quando non ho qualcosa da fare o da sistemare, quando non ho qualcuno di cui prendermi cura e posso ascoltarle, arrivano.

Da lontano o da vicino, arrivano, senza nessun filtro. Cariche di disperazione e di rabbia.

E allora mi fermo. Mi lascio sommergere. Attraversare. Riempire. Fino a non sentire più  di essere una sola, fino a sentire quel filo che mi lega a tutti gli altri, quel richiamo atavico dentro di me che mi fa sentire parte di un tutto.

Ed è in quel momento che sento quel dolore straziante alla bocca dello stomaco, che non mi uccide ma mi diminuisce, che non mi lascia cicatrici addosso ma mi rende partecipe fino a lasciarmi sfinita, senza respiro.

Lo sento e lo sento fin dentro le ossa. Lascio che mi scavi dentro, senza fretta. Senza paura. Non come una volta, quando non sapevo che farne.

Oggi più che mai non vorrei mai smettere di sentirlo. Oggi più  che mai non vorrei perdere la mia umanità.

Così  quando arrivano io le ascolto. Le urla mute di chi non ha voce in questo mondo. Oggi più che mai. Perché oggi sono io la loro voce.

Io ci proverò

Un giorno ti capiterà di essere troppo stanco o stanca per informarti, per resistere, per lottare, avrai paura per il futuro dei tuoi figli e vorrai soltanto trovare una soluzione, un senso, qualcuno da incolpare. E loro lo avevo previsto: ti avevano già  bombardato di notizie false, di frasi fatte e stereotipi.

E così, semplicemente, succederà: smetterai di vedere individui, persone con una coscienza propria, con un percorso e una storia che le rende uniche ma vedrai solo la loro etnia, il loro sesso, o la loro provenienza. E saranno tutti uguali, divisi per categoria.

La categorizzazione è il meccanismo che crea gli stereotipi su cui si formano i pregiudizi. Ed è utile per lo più, quando serve a formare scatole mentali in cui ordinare le migliaia di informazioni che arrivano al tuo cervello, a raffica, dal mondo esterno. Ma è anche la madre di tutti i razzismi, i sessismi e le fobie: una trappola mortale per la tua umanità, quando l’astrazione finalizzata a semplificarti il pensiero diventa l’unico modo di vedere il mondo, una macchina che produce giudizi basati solo su una visione stereotipata della realtà.

Quando questo succederà, comincerai a parlare con frasi che hai sentito mille volte, anche se non sai chi le ha dette per primo o quando. Selezionerai le notizie da leggere, in modo che rinforzino la tua opinione, e ad un certo punto utilizzerai i social network come fossero mezzi di informazione. Smetterai di chiamare le persone “persone” e inizierai a definirle sulla base del luogo d’origine o di chi si portano a letto. Avrai paura di loro anche se non ti hanno mai fatto nulla e persino se non le hai mai incontrate. E se per caso qualcuno di loro ti sorprenderà, sarà soltanto l’eccezione che conferma la regola. Starai ben attento o attenta nel sottolineare l’innocenza di donne e bambini, come se non fossero le loro madri e i loro figli, ed eviterai di usare il pronome “tutti”, optando per una più equa definizione: “la maggior parte”.

Sì, vedrai il mondo diviso in tante parti: quelle che rubano il lavoro, o peggio che rubano e basta; le parti che vogliono imporre la loro religione o la loro idea di famiglia; le parti che minacciano la tua virilità o il tuo ruolo sociale.

E arriverà il giorno i cui diventerà quasi impossibile farti cambiare idea, nemmeno con dati e fonti autorevoli alla mano o con il racconto di storie personali.

Sarà difficile farti vedere una risorsa dove vedi un’invasione, e la resilienza del naufrago al posto della disperazione. Farti scorgere la bellezza nella diversità o l’amore, dove vedi solo una perversione.

Sarà uno sforzo cercare di mostrarti a colori un mondo che ti ostini a dividere in bianco e nero. Ma io ci proverò lo stesso. E finché ci proverò, saprai che non ho smesso di avere fiducia in te. O nel mio Paese.