Quel cammino tra l’inizio e la fine. Di nuovo.

Non mi piacciono gli addii, i finali e i “vissero felici e contenti”. Non amo neanche i nuovi inizi, i cambiamenti o le grandi rivoluzioni.

Mi piace cosa sta in mezzo. Il cammino tra l’inizio e la fine. Adoro la quotidianità, la routine. Il sentirmi a casa. Mi interessa più il processo che il risultato.

Ho sempre fatto il salto quando era necessario buttarsi. Spicco il volo ogni volta che serve ma non vedo l’ora di atterrare e tenere di nuovo i piedi ben piantati per terra. Le trasformazioni mi spaventano. Mi terrorizza quello che non conosco. Eppure non mi sono mai tirata indietro.

In trentun anni ho vissuto in otto città, in quattro nazioni di tre continenti diversi. Ho fatto dieci traslochi. Ho cambiato facoltà due volte. Lavoro otto. Ho avuto diversi fidanzati e fidanzate. Ho convissuto per sei anni e ho scampato il matrimonio per un pelo. Mi sono buttata con il paracadute da quindici mila piedi e sono rotolata da una collina, dentro una palla di gomma. Ho visitato quasi venti paesi e ho assaggiato ventitré tipi di cucina diversi. Sono stata cristiana per quattordici anni, agnostica per dieci e sono buddista da sette. Ho imparato tre lingue diverse dalla mia e ho iniziato a studiare canto e chitarra a trentun anni.

Ho fatto e cambiato così tante cose che mi sembra di aver vissuto mille vite. Chi mi conosce non può credere che io abbia paura dell’ignoto; che anche io abbia difficoltà a lasciare la mia zona di comfort. Eppure è proprio così. Ma allora perché sono riuscita a fare tutto quello che ho fatto? Perché ho abbandonato le mie certezze e sono riuscita a vincere la paura di perdere tutto? La paura di sbagliare, di cambiare, di stare da sola?

La verità è che ho avuto un unico vantaggio nella mia vita. Un unico espediente che mi ha portato ad uscire dal guscio protettivo dell’abitudine e della familiarità: la sofferenza.

Si, è stata la grande sofferenza che ho provato fin da piccola a spingermi alla ricerca continua di me stessa. Il vuoto che ho nel petto da quando ho memoria di me è stato il motore più potente della mia rivoluzione umana e lo è tutt’ora.

La depressione di cui ho sofferto in adolescenza è stata la mia via d’uscita da un percorso già scritto per me, dalla società in cui ero cresciuta: un diploma, forse una laurea – giusto per poterla sfoggiare con i compaesani – e certamente un lavoro vicino casa fino al matrimonio con il primo amore, coronato da una o più gravidanze. Questo era il futuro che mi aspettavo. Che tutti si aspettavano da me. Il futuro che credevo di volere. Ma la vita aveva altro in serbo per me.

Solo che è difficile abbandonare le aspettative, i sogni da bambina e tutto ciò che ci è familiare. E’ dura percorrere strade non asfaltate, spesso piene di dossi e pericoli. Scegliere il cammino più difficile non è semplice. Allora, proprio come una madre compassionevole sgrida il figlio quando sbaglia, la vita mi ha dato una bella spinta. Una nuova partenza, azzerando tutto. Si perché come dice una mia cara amica, la depressione è uno zero dell’anima. O di sicuro lo è stato per me.

Da quello zero ho ricostruito tutto. Ho ricostruito me stessa, i miei sogni e il mio cammino. E per farlo ho dovuto fare il mio primo salto nel vuoto, nel mio personale buco nero. Il primo viaggio è stato il più importante: quello alla ricerca di me stessa, per guardarmi dentro e guardare in faccia il mio dolore.

Vorrei poter dire che da allora il cammino è stato in discesa, ma non è così. Ad ogni nuova partenza o sfida che mi si presenti, la paura torna sempre. Il disagio, la mancanza di equilibrio sono i miei primi compagni di viaggio. E quando la resistenza al cambiamento è troppo forte, la vita torna con i suoi scossoni compassionevoli.

E’ una lotta. Eterna. E decisamente impegnativa. Ma realizzabile. E con tempi di ripresa sempre più rapidi, con soddisfazioni sempre più grandi e passi sempre più lunghi. Adesso, ogni volta che si presenta una novità o un ostacolo che mi costringe ad uscire dal mio guscio sicuro, l’accolgo come l’ennesima opportunità che la vita mi sta dando per aprirmi al mondo, per migliorarmi e superare i miei limiti.

E infatti miglioro, supero i limiti e allargo la zona di comfort. Affronto tutto con coraggio e poi torno a casa, a godermi ciò che sta tra la fine di un’avventura e l’inizio della successiva: un buon libro sul divano e una tazza di cioccolata!


Da quando ho scritto questo post (27 novembre 2016) sono passati quasi due anni, un’incredibile esperienza nei campi profughi in Libano, tre relazioni, un cancro, due operazioni, la radio e tantissimo lavoro sia professionale che interiore. Eppure ancora una volta mi trovo a dover ricominciare tutto da capo: affrontare di nuovo la malattia, in un’altra città di un altro Paese, con un lavoro diverso e senza la persona che in teoria era il mio compagno.

Di nuovo la lotta, di nuovo la paura. E se anche una parte di me sa che vincerò – come sempre-, il più grande sforzo consiste nel cercare di ignorare quella vocina che striscia come un serpente fra i pensieri e le cose da fare, sussurrando “questa volta non ce la farai!”. E allora rileggo di tutte le volte che ho combattuto per la mia felicità, con le unghie e con i denti, anche quando non ci credevo, anche quando ero stesa su un letto paralizzata dal dolore, anche quando credevo di aver perso l’amore o peggio quando credevo di non meritarlo. E così scopro che questo blog non serve per condividere le mie lotte con gli altri, per incoraggiare le mie amiche o per farle ridere. Non solo. Serve soprattutto a me stessa. Un inno alla forza, per ricordarmi chi sono.

Io sono una vincitrice.

E anche questa volta prenderò questa sofferenza e ne farò un capolavoro.

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No me gustan las despedidas, los finales y “vivieron felices para siempre”. Ni siquiera me gustan los nuevos comienzos, los cambios o las grandes revoluciones. Me gusta lo que está en medio. El camino entre el principio y el final. Amo la vida cotidiana, la rutina. Sentirse como en casa. Estoy más interesada en el proceso que en el resultado. Siempre he saltado cuando era necesario saltar. Me echo a volar cuando es necesario, pero no puedo esperar para aterrizar y mantener mis pies firmemente plantados en el suelo nuevamente. Las transformaciones me asustan. Me asusta lo que no sé. Sin embargo, nunca me eché atrás. En treinta y cuatro años viví en nueve ciudades, en cinco países de cuatro continentes diferentes. Hice trece mudanzas. He cambiado el curso de mis estudios de universidad dos veces. 10 veces el trabajo. Tuve varios novios y novias. Viví con una pareja durante seis años y me escapé por un pelo de la boda. Me lancé con el paracaídas desde quince mil pies y rodé desde una colina dentro una pelota de goma. Visité más de veinte países y probé veintitrés tipos diferentes de cocina. Fui cristiana por catorce años, agnóstica por nueve y soy budista desde diez. Aprendí tres idiomas más y comencé a estudiar canto y guitarra a los treinta años. He hecho y cambiado tantas cosas que siento que he vivido mil vidas. Los que me conocen no pueden creer que tengo miedo de lo desconocido; Que también me cuesta salir de mi zona de confort. Y, sin embargo, es realmente así. Pero entonces, ¿por qué he logrado hacer todo lo que hice? ¿Por qué abandoné mis certezas y logré superar el miedo a perder todo? ¿El miedo a cometer errores, a cambiar, a estar sola? La verdad es que tenía una ventaja en mi vida. Un solo recurso que me llevó a salir de la cáscara protectora del hábito y la familiaridad: el dolor. Sí, fue el gran sufrimiento que sentí de niña que me llevó a esforzarme en una búsqueda continua de mí misma. El vacío en mi pecho que siento desde que tengo memoria de mí, fue el motor más poderoso de mi revolución humana y todavía lo es. La depresión que sufrí en la adolescencia fue la salida de un camino que estaba ya escrito para mí por la sociedad en la que crecí: un diploma, tal vez un título universitario, solo para mostrarlo con los demás ciudadanos, y ciertamente un trabajo cerca de casa hasta el matrimonio con el primer amor, coronado con uno o más embarazos. Este era el futuro que esperaba. Que todos esperaban de mí. El futuro que pensaba querer. Pero la vida tenía algo más reservado para mí. Solo que es difícil abandonar las expectativas, los sueños de niño y todo lo que es familiar. Es difícil recorrer caminos no asfaltados, a menudo llenos de baches y peligros. Elegir el camino más difícil no es fácil. Entonces, al igual que una madre compasiva regaña a su hijo cuando comete un error, la vida me dio un buen impulso. Un nuevo comienzo, poniendo a cero todo. Sí, porque como dice una querida amiga mía, la depresión es un cero del alma. O seguro que eso fue para mí. A partir de ese cero lo reconstruí todo. Reconstruí mi identidad, mis sueños y mi camino. Y para hacer esto tuve que dar mi primer salto al vacío, a mi agujero negro personal. El primer viaje fue el más importante: aquello en busca de mí misma, para mirar hacia adentro y enfrentar mi dolor. Me gustaría decir que desde entonces el viaje ha sido cuesta abajo, pero no es así. A cada nueva partida o desafío que se me presenta, el miedo siempre regresa. La incomodidad, la falta de equilibrio son mis primeras compañeras de viaje. Y cuando la resistencia al cambio es demasiado fuerte, la vida regresa con sus sacudidas compasivas, y me trae otros desafíos come el cáncer: mi gran maestro. Es una lucha. Eterna. Y definitivamente desafiante. Pero alcanzable. Y con tiempos de recuperación cada vez más rápidos, con satisfacciones cada vez mayores y pasos cada vez más largos. Ahora, cada vez que hay algo nuevo o un obstáculo que me obliga a abandonar mi cáscara segura, le doy la bienvenida como otra oportunidad que la vida me brinda para abrirme al mundo, para superarme y superar mis límites. Y de hecho mejoro, supero los límites y amplío la zona de confort. Me enfrento a todo con coraje y luego me voy a casa, para disfrutar de lo que hay entre el final de una aventura y el comienzo de la siguiente: ¡un buen libro tumbada en el sofá y una taza de chocolate!

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