Un post-it nel cuore

Non ricordo quando l’ho sentito per la prima volta, ma la prima volta di cui ne ho un ricordo avevo all’incirca sette anni. Era mattina presto ed ero in bagno; mi stavo preparando per andare a scuola. All’improvviso sentii un vuoto all’altezza del petto. Non era una fitta. Non era un dolore. Era il niente. Una voragine nel cuore che ingoiava tutto ciò che mi stava attorno. Lo conoscevo già, perché non mi spaventai. Poi arrivò mia sorella e il vuoto si riempì di lei.

Sono passati ventiquattro anni da allora e continuo a sentirlo e a riempirlo di persone, esperienze, libri.. vita insomma. Solo che i vuoti non si riempiono, i vuoti divorano, non si saziano mai.

E tornano sempre. Tornano mentre stai ridendo o mentre stai preparando la colazione. Mentre fai l’amore o litighi con qualcuno. Tornano quando non te li aspetti o quando li senti arrivare. Tornano mentre sogni e soprattutto durante gli incubi.

Ognuno di noi può averli oppure no, e non tutti con la stessa forma. Alcuni poi si mascherano da dipendenza di alcol o di droga. Altri ancora sembrano desiderio di fama e denaro. Ci sono vuoti a forma di cuore e altri a forma di sesso. Ce ne sono di tutti i tipi.

Il mio cambia sempre forma: un giorno è il ricordo di un’amica, che ha dovuto dire addio al padre, il giorno dopo la foto di una madre che piange il figlio morto sotto una bomba. Ieri erano 297 anime sepolte sotto cumuli di pietre e oggi la disperazione di una donna che si è tolta la vita. Ci sono volte in cui assume tante forme in una e volte in cui si nasconde bene, così bene che sembra andato via, ma nella sostanza rimane sempre e sempre uguale: la sofferenza degli altri.

La sofferenza degli altri mi circonda e mi attraversa, togliendomi il respiro e la voglia di vivere. Mi fa dubitare del senso della vita e mi fa desiderare la morte.

E’ così da quando ho memoria di me. E’ così finché non comincio a recitare Nam Myoho Renghe Kyo.

Adesso, quando il vuoto arriva e tutto attorno a me comincia a perdere i contorni, prima che il mio mondo svanisca risucchiato dal buco nero che ho nel petto, corro davanti al Gohonzon e pronuncio Nam Myoho Renghe Kyo.

E lì, in quel momento, decido di dare un senso a quel vuoto.

Sento il dolore degli altri perché sono parte di un tutto. Lo sento perché è la mia missione, perché sono un Bodhisattva della terra. Perché è mio. Decido ogni volta che lo devo attraversare perché solo così posso veramente capire e sostenere chi soffre.

Questa sofferenza è il mio motore. Non c’è niente che mi faccia premere l’acceleratore della vita come questo vuoto, che mi spinga a ricercare dentro di me il potenziale infinito di cui parla il Buddha. Che mi faccia lottare contro l’ingiustizia, contro il male. Niente mi fa desiderare di più di essere migliore di come sono.

E ogni volta che sento questo vuoto, ridetermino davanti al Gohonzon che crescerò più in fretta, amerò più a fondo, vivrò con più gratitudine e farò la mia rivoluzione umana per la mia felicità e per Kosen Rufu.

Per sostenere gli altri bisogna sempre ripartire da se stessi. Da qui e da ora.

E così oggi accolgo questo vuoto e decido ancora una volta. Decido che non ho più un buco da riempire ma uno spazio dove poter costruire le fondamenta di Kosen Rufu nella mia vita. Decido che anche se dovessi rimanere sola in questa lotta, realizzerò il voto del mio maestro. Decido  che questa sofferenza è solo un promemoria dall’infinito passato, un post-it attaccato al cuore che mi ricorda perché sono nata, perché proprio qui in questo mondo di saha:

Kosen Rufu.

Io vivo per Kosen Rufu!

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