Dito medio

Sono arrabbiata. Anzi no, sono incazzata nera. E sono felice di esserlo, perché la rabbia è la mia migliore amica.

È il salvagente che mi permette di non annegare nel dolore per i miei fratelli, morti a migliaia nel mio mare sotto gli occhi indifferenti di coloro che dovrei sentire carne della mia carne e che, invece, sono solo stranieri nel mio cuore.

La rabbia è l’unica arma che ho per sopravvive in Italia, il mio Paese in guerra, bombardato d’odio. Un Paese dove chi accoglie viene arrestato e chi lascia morire governa; dove chi è fascista esercita una libertà di opinione e chi ama una persona dello stesso sesso non ha nemmeno il diritto alla famiglia.

In nome di tutte le persone morte in mare, di tutte le donne violentate e uccise a causa di una cultura patriarcale e maschilista, in nome di tutti gli amori ostacolati e di tutti i principi violati, io rivendico il mio diritto alla rabbia e alla disobbedienza.

Rivolta contro l’ingiustizia, la rabbia è un potente motore verso il cambiamento. Quindi da ora in poi, chi cercherà di zittirmi riproverandomi di essere arrabbiata, non farà altro che motivarmi ancora di più.

Ed è a costoro, che con questo post rivolgo un combattivo e rabbioso dito medio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Io ci proverò

Un giorno ti capiterà di essere troppo stanco o stanca per informarti, per resistere, per lottare, avrai paura per il futuro dei tuoi figli e vorrai soltanto trovare una soluzione, un senso, qualcuno da incolpare. E loro lo avevo previsto: ti avevano già  bombardato di notizie false, di frasi fatte e stereotipi.

E così, semplicemente, succederà: smetterai di vedere individui, persone con una coscienza propria, con un percorso e una storia che le rende uniche ma vedrai solo la loro etnia, il loro sesso, o la loro provenienza. E saranno tutti uguali, divisi per categoria.

La categorizzazione è il meccanismo che crea gli stereotipi su cui si formano i pregiudizi. Ed è utile per lo più, quando serve a formare scatole mentali in cui ordinare le migliaia di informazioni che arrivano al tuo cervello, a raffica, dal mondo esterno. Ma è anche la madre di tutti i razzismi, i sessismi e le fobie: una trappola mortale per la tua umanità, quando l’astrazione finalizzata a semplificarti il pensiero diventa l’unico modo di vedere il mondo, una macchina che produce giudizi basati solo su una visione stereotipata della realtà.

Quando questo succederà, comincerai a parlare con frasi che hai sentito mille volte, anche se non sai chi le ha dette per primo o quando. Selezionerai le notizie da leggere, in modo che rinforzino la tua opinione, e ad un certo punto utilizzerai i social network come fossero mezzi di informazione. Smetterai di chiamare le persone “persone” e inizierai a definirle sulla base del luogo d’origine o di chi si portano a letto. Avrai paura di loro anche se non ti hanno mai fatto nulla e persino se non le hai mai incontrate. E se per caso qualcuno di loro ti sorprenderà, sarà soltanto l’eccezione che conferma la regola. Starai ben attento o attenta nel sottolineare l’innocenza di donne e bambini, come se non fossero le loro madri e i loro figli, ed eviterai di usare il pronome “tutti”, optando per una più equa definizione: “la maggior parte”.

Sì, vedrai il mondo diviso in tante parti: quelle che rubano il lavoro, o peggio che rubano e basta; le parti che vogliono imporre la loro religione o la loro idea di famiglia; le parti che minacciano la tua virilità o il tuo ruolo sociale.

E arriverà il giorno i cui diventerà quasi impossibile farti cambiare idea, nemmeno con dati e fonti autorevoli alla mano o con il racconto di storie personali.

Sarà difficile farti vedere una risorsa dove vedi un’invasione, e la resilienza del naufrago al posto della disperazione. Farti scorgere la bellezza nella diversità o l’amore, dove vedi solo una perversione.

Sarà uno sforzo cercare di mostrarti a colori un mondo che ti ostini a dividere in bianco e nero. Ma io ci proverò lo stesso. E finché ci proverò, saprai che non ho smesso di avere fiducia in te. O nel mio Paese.

 

 

Chiunque tu sia, se stai pensando di voler morire e stai leggendo questo post vuol dire che hai cercato su internet uno spiraglio, come ho fatto io tante volte in passato.

Ero solo una ragazzina quando tentai di suicidarmi. Conosco perfettamente il vuoto che senti dentro, il senso di soffocamento.. quel peso sul petto che sembra non andare mai via. So cosa significa sentirsi sola, esclusa, non meritevole di amore. So che sembra un incubo senza fine. Una strada interrotta senza via d’uscita.

Ma non è così. Ti prego scrivimi. Ti risponderò. Ti chiamerò. Ti sosterrò. Ti mostrerò che c’è una soluzione. Dammi un’opportunità. Datti un’opportunità. Non ti deluderò, te lo prometto.

Questa è la mia mail: elisabeth_peace@hotmail.com