Cosa scelgo oggi

Non so cosa avrei scelto se avessi saputo che sarebbe stato come avere una finestra sul petto, con il cuore in bella vista sul davanzale; o se qualcuno mi avesse detto che sarebbe stato come stare a penzoloni sul bordo di un burrone. Nessuno ti prepara. Nessuno ti spiega che cosa significa aprirsi veramente con un altro essere umano. Nessuno ti dice che inizierai a sentirti nuda, esposta, indifesa. Non so se, tornando indietro con questa consapevolezza, sceglierei di nuovo la stessa strada invece che restare nel mio guscio.

Tutti quegli tsunami nel cuore, tutte quelle capriole nello stomaco erano solletico in confronto alla sensazione di essere completamente senza maschere, senza filtri. Essere te senza scudi, essere te senza l’armatura che ti ha protetta. Quella stessa armatura che però ti ha schermata anche dalla bellezza di un sentimento vero, dalla poesia di due corpi che si toccano il cuore a vicenda.

Nessuno ti dice che sarà tanto bello quanto terrificante, che ti attrarrà come acqua nel deserto e allo stesso tempo ti farà  venire il desiderio di scappare su un altro pianeta. E soprattutto nessuno ti dice che ci saranno momenti in cui perderai completamente l’equilibrio e sarà davvero dura ritrovare il tuo centro in mezzo alla bufera che avrai dentro.

Non so cosa avrei scelto se avessi saputo tutto questo. Ma so cosa scelgo oggi. Cosa ho scelto ieri. Scelgo di non fuggire, di provare, di inciampare e rialzarmi, perché ciò che mi aveva ingabbiato il cuore mi ha anche allenato alla resilienza e alla lotta. Perché, proprio come i duri colpi di uno scalpello sul marmo sono ciò che lo trasformano in un’ opera d’arte, la sofferenza mi ha plasmato in una combattente.

Con l’infinito dentro

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La enfermedad me quitó la fuerza física, me privó de mi tiempo y de mi ritmo frenético. Se impuso sobre mi alma y mi cuerpo, obligándome a ser tocada, cortada, abierta y cosida por manos desconocidas. Me erosionó lentamente, borrando lo que era. Y ahora estoy aquí, obligada a reconstruirme, a reinventarme, a darme nuevos ritmos. Ahora tengo que dedicarme tiempo y darme espacio aunque todavía no sepa cómo hacerlo. Poco a poco empiezo a reevaluar mis elecciones, a reconsiderar lo que creía importante. La enfermedad te quita tanto que te obliga a apreciar lo que queda: deseos, pasiones, sentimientos, amistades. Y luego, cava un vacío en tus días para que tú veas los demonios de los cuales escapaste toda tu vida, primero entre todos el miedo a vivir.

Frente a monstruos tan grandes, lo único que puedes hacer es luchar o dejarte llevar, pero no puedes decidir qué hacer una vez por todas. No, no es una elección de un instante, sino una elección de cada momento, de cada día. Ese es el verdadero desafío: relanzar continuamente contra cada duda, cada miedo, cada sombra que serpentea en tu mente. Contra esa vocecita que te dice como nunca serás de nuevo sana, más fuerte, más enérgica, y que te hace temblar con cada punzada de dolor, gritando esas malditas cuatro palabras: “será así para siempre”.

Luchas o mueres, pero no de cáncer… de miedo.

Lo único que puedes hacer contra el miedo es soñar. Y así sueño. Sueño con todo mi corazón y todo mi cuerpo. Sueño con una Elisabeth fuerte y libre, que corre de nuevo, que viaja por todas partes, que se sienta en el suelo con sus niños en un campamento de refugiados o en una aldea perdida en una selva, tal como era antes.

Sueño con una Elisabeth que se ama y ama el mundo. Una Elisabeth con el infinito dentro de sí. La sueño y la pinto.

Volver a soñar es mi primera ACCIÓN…


La malattia mi ha tolto le forze fisiche, mi ha privato del mio tempo e dei miei ritmi frenetici. Si è imposta sulla mia anima e sul mio corpo, costringendomi a essere toccata, tagliata, aperta e ricucita da mani sconosciute. Mi ha erosa piano piano, cancellando quella che ero.

E ora sono qui, costretta a ricostruirmi, a reinventarmi, a concedermi ritmi nuovi. Adesso devo dedicarmi tempo e darmi spazio anche se non so ancora come si fa. Inizio piano piano a rivalutare le mie scelte, a riconsiderare ciò che credevo importante. La malattia ti toglie così tanto che ti costringe ad apprezzare quello che resta: i desideri, le passioni, i sentimenti, le amiche vere, la pratica. E poi scava il vuoto nelle tue giornate per farti vedere i demoni da cui sei scappata tutta la vita, prima fra tutte la paura di vivere.

Davanti a mostri così grandi l’unica cosa che puoi fare è lottare o lasciarti andare, ma  non puoi decidere cosa fare una volta per tutte. No, non è una scelta di un istante, ma una scelta di ogni istante, di ogni giorno. E’ quella la vera sfida: rilanciare in continuazione contro ogni dubbio, ogni timore, ogni ombra che serpeggia nella tua mente. Contro quella vocina che ti racconta come non sarai mai più sana, forte, veloce, energica, e che ti fa tremare ad ogni fitta di dolore, sibilandoti quelle maledette quattro parole: “sarà così per sempre”.

Lottare o morire, ma non di cancro. Di paura.

Contro la paura l’unica cosa che puoi fare è sognare. E così sogno. Sogno con tutto il cuore e con tutto il corpo. Sogno una Elisabeth forte e libera, che corre di nuovo, che viaggia in lungo e in largo, che si siede a terra con i suoi bambini in un campo profughi o in un villaggio sperduto nella foresta, proprio come una volta. Sogno una Elisabeth che si ama e che ama il mondo. Una Elisabeth con l’infinito dentro.

La sogno e la dipingo.

Tornare a sognare è la mia prima azione…

 

 

 

Chi sia accontenta muore

 

Ogni volta che ho scelto di non parlare per paura. E pure quando non mi sono ribellata al male.

Ogni volta che ho accettato un ricatto per non essere abbandonata. E quelle volte in cui ho subito in silenzio.

Ogni volta che ho pensato di non essere abbastanza. E ogni volta che ho lasciato che qualcuno me lo facesse credere.

Ogni volta che non ho pianto per vergogna. E tutte quelle in cui l’ho fatto sommessamente, per non disturbare.

Ogni volta che non ho preteso rispetto. E pure quelle volte in cui ho barattato la mia dignità con un poco di carezze.

Ogni volta in cui non mi sono amata abbastanza da proteggermi.

Ogni volta che ho elemosinato affetto. E tutte le volte in cui ho camminato in punta di piedi nella vita degli altri.

Ogni volta che ho pensato di non meritare di più e anche quando mi sono accontentata delle briciole.

Ognuno di queste volte, il cancro si è fatto strada dentro di me. Ogni volta stavo morendo poco a poco.

L’amore è sempre l’unica risposta

La verità è che lo sforzo più grande sta nel riuscire a non ridurre tutta la tua vita, tutto il tuo corpo a quella parte di te che è impazzita.

Non riesci a credere che la gente non ti veda solo come un cancro che cammina, eppure tu non hai mai ridotto nessuno alle sue parti rotte, non hai mai considerato una persona malata meno persona.

La verità è che sei tu che ti riduci alle tue mancanze, ai tuoi fallimenti, alle tue cellule malate. E sei tu a dover allargare la visione di te, a riempire la tua vita così tanto che le sofferenze ci navigheranno dentro invece di prosciugarla.

Se solo riuscissi ad amarti veramente. E amare proprio tutto. Soprattutto quel pezzetto di te che ti sta gridando dentro.

L’amore è sempre l’unica risposta. Non è mai quella facile, però.

 

 

La vera lotta

Quando ti dicono che hai un tumore succedono due cose strane. La prima è che mentre leggi il messaggio o ascolti la persona che te lo sta dicendo smetti all’improvviso di essere lì dove sei, in quel momento presente. Proprio come nei film, cominci a sentire tutto in modo ovattato e non riesci a seguire più il discorso: tutto si ferma a quel “mi spiace informarla che…”. Torni dopo qualche ora, dopo un bel pianto e un’amica che ti abbraccia forte. Ci metti un po’ ma torni. La seconda cosa strana è che continui ad andare via e tornare. Cammini per strada, parlando con qualcuno, e all’improvviso ricordi “ho un tumore!” e la tua mente esce fuori da quell’attimo. Ridi con i tuoi coinquilini e di nuovo torna quella consapevolezza, di nuovo non ci sei più. Mangi. Esci. Guardi un telefilm. Lavori. E non ci sei. Non sei più nel presente. Sei nel futuro. Quello che ti immagini. Un futuro dove i tuoi cari piangono, dove tu non hai le forze di continuare a lavorare, dove non esiste una relazione sentimentale. Penso che la vera lotta inizia da subito, non dall’appuntamento con il chirurgo o dalla chemio. Inizia nel momento in cui lo scopri, in cui cominci a sentirlo crescere dentro di te. C’era da molto ma appena ti informano della sua presenza, è lì che inizi a percepire che qualcosa non va, che tu non sei più completamente tu. E la vera lotta è rimanere aggrappata al presente e non lasciare che la paura prenda il sopravvento, è rimanere la vera te, quella che combatte nonostante tutto, che ama nonostante tutto, che sogna nonostante tutto. Rimanere quella che hai imparato ad essere, affrontando sfide più grandi di quel pezzetto di tumore.