Sto tornando in Italia. I miei giorni libanesi sono finiti e con loro anche gli ultimi momenti spensierati. Non ho lasciato solo i bimbi e Giulia a Beirut. Ho lasciato lì anche il mio sogno. Almeno per il momento.

Una volta rientrata in Italia non sarò più una ricercatrice. Sarò una malata di cancro. A Pisa ci sono le persone che amo e a cui non ho potuto non dire la verità, mentre a Beirut potevo fingere di essere ancora sana.

In Italia poi, c’è anche il senso di colpa: quando devi dire a qualcuno a cui vuoi bene che sei malata, ti senti responsabile per la sua tristezza. Lo dici piano, quasi sottovoce e mangiando le parole. Cammini in punta di piedi nei  cuori di coloro che ami, sdrammatizzi, scherzi, cerchi di fargli sentire che sei tranquilla. Dalla tua serenità dipenderà la loro.

E nei momenti in cui non ci riesci, in cui ti abbandoni all’oscurità che ti dice “lo vedi? Anche questa! Non sarai mai felice!”.. In quei momenti che si fa?

Basta non fingere. Basta parlare e fare uscire i demoni per guardarli in faccia. Come la paura, ad esempio.

Non del dolore in sé. Non è mai il dolore che ti fotte ma la sensazione che hai mentre lo provi. Quella vocina bastarda che ti ripete che non ce la farai e che  starai male per sempre.

E tu ascoltala. Lasciala parlare e poi dille: “Userò anche la mia malattia per creare valore. Userò anche il dolore per Kosen Rufu e userò anche te, paura, per incoraggiare gli altri, per dimostar loro con il mio esempio, come la paura non possa niente contro una grande fede”.

Fregata!

 


Regreso a Italia. Mis días libaneses han terminado y con ellos incluso los últimos momentos sin preocupaciones. No dejé solo a los niños y a Giulia en Beirut. También dejé mi sueño allí. Al menos por el momento.

Una vez de vuelta en Italia, ya no seré una investigadora. Seré una enferma de cáncer. En Pisa están las personas que amo y a las que le tendré que decir la verdad, mientras que en Beirut podía fingir de estar aún bien.

En Italia, también hay un sentimiento de culpa: cuando tienes que decirle a alguien que amas que estás enfermo, te sientes responsable de su tristeza. Lo dices suavemente, en voz baja y comiendo las palabras. Caminas de puntillas en los corazones de tu seres queridos, minimizas, bromeas, tratas de hacer que se sientan tranquilos. Su serenidad dependerá de la tuya.

Y en los momentos en que no puedes hacerlo, cuando te abandonas a la oscuridad que te dice “¿Lo ves? ¡También esto! ¡Nunca serás feliz!”. ¿En esos momentos que haces?

Solo no finjas. Solo hablas y sacas a los demonios para mirarlos a la cara. Como el miedo, por ejemplo.

No del dolor en sí. Nunca es el dolor lo que te jode, sino la sensación que tienes mientras lo pruebas. Esa maldita voz que te repite que no lo lograrás y que estarás enfermo para siempre.

Y tu escuchala. Déjala hablar y luego dile: “También usaré mi enfermedad para crear valor. También usaré el dolor por Kosen Rufu y también te usaré a ti, miedo, para alentar a otros, para mostrarles con mi ejemplo, cómo el miedo no puede hacer nada contra una gran fe”.

¡Jodita!

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