Lettera aperta ai governi complici di Israele/Open letter to the governments complicit with Israel

Lasciatemi andare a Rafah. Se lascerete che uccidano i miei fratelli e le mie sorelle, lasciate morire anche me.
Perché vi scandalizzate? Perché vi inorridite se sono secoli che non vi fate nessun problema a chiederci di morire per la Patria.
La mia Patria sono gli oppressi e gli indifesi.
Perché mai non dovrei morire per loro e con loro?
Perché mai non dovrei morire anche io?
Non esiste nessun diritto alla vita ma solo il privilegio di noi ricchi occidentali di non morire di fame, di stenti o sotto le macerie.
Quelli che chiamate diritti sono solamente privilegi e allora teneteveli, io non li voglio.
Lasciatemi morire a Rafah. Che ve ne importa?
Tanto non sarò mai come mi volete. Non mi sposerò mai. Non mi prenderò cura di un uomo per facilitargli l’arduo compito di essere l’ennesimo anello della vostra catena capitalista. Né partorirò mai un altro piccolo schiavo per voi.
Lasciatemi andare e finiamola con questa farsa: non ve ne importa nulla delle nostre vite. Siamo solo numeri che servono a produrre, consumare, votare.
E allora tenetevi stretti quelli che a questo gioco vogliono giocare. Tenetevi stretti coloro che si girano dall’altra parte mentre finanziate un genocidio, chi pubblica storie di brunch e vacanze alle Canarie mentre portate in parlamento leggi anticostituzionali. Tenetevi stretto chi si indebita per comprare una borsetta di 2000 euro, chi non mette in discussione un sistema economico che creare ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri, mentre brucia il nostro pianeta. Tenetevi stretti i vostri analfabeti funzionali e lasciate andare chi come me vi vede per quello che siete realmente: governi parassiti e sanguinari.
Lasciateci andare a morire con i nostri fratelli e le nostre sorelle. E se vi preoccupate dell’opinione pubblica, potrete sempre raccontare che avevamo dei seri problemi mentali, come Aaron, giusto?

Let me go to Rafah. If you let them kill my brothers and sisters, let me die too.
Don’t act shocked. Why are you horrified? for centuries you had no problem asking us to die for the sake of our Country.
My homeland are the oppressed and defenseless ones.
Why on earth shouldn’t I die for them and with them?
Why shouldn’t I die too?
There is no right to life but only the privilege of rich Westerners to not die of hunger, hardship or under the rubble.
What you call rights are just privileges so keep them, I don’t want them.
Let me die in Rafah. Why do you care?
I’ll never be what you want me to be anyway. I will never get married. I will not take care of a man to ease him into the arduous task of being yet another link in your capitalist chain. Nor will I ever give birth to another little slave for you.
Let me go and let’s end this farce: you don’t care about our lives. We are just numbers that are used to produce, consume, vote.
So hold on tight to those who want to play this game. Hold on to those who look the other way while you finance a genocide, those who publish stories of brunches and holidays in the Canary Islands while you bring unconstitutional laws to parliament. Hold on to those who get into debt to buy a 2000 euro handbag, those who do not question an economic system that allows rich people to get richer and richer and poor ones to become poorer and poorer, while our planet burns. Hold onto your functional illiterates and let go of those like me who see you for what you really are: parasitic and bloodthirsty governments.
Let us die with our brothers and sisters. And if you care about public opinion, you can always say that we had serious mental issues, like Aaron, right?

Sono una persona scomoda. Sono il grillo parlante. La mia coerenza da fastidio agli incoerenti. La mia integrità morale dà noia a chi non ne ha. Non ho paura di lottare da sola per quello in cui credo e dico sempre quello che penso e soprattutto lo dico in faccia. La mia libertà fa invidia a chi è prigioniero delle proprie paure. Preferisco stare da sola piuttosto che accontentarmi di amori tossici o amicizie a metà e questa forza che mostro all’esterno è uno schiaffo in faccia a chi invece non ha il coraggio di camminare da solo per le strade della vita. Sono scomoda perché la mia sola esistenza sbriciola tutte le montagne di scuse che le persone raccontano a se stesse e a gli altri. Sono scomoda e sono felice di esserlo. Auguro a me stessa che la mia vita sia sempre un dito nel fianco di coloro che si nascondono dietro frasi fatte e che non hanno il coraggio di alzare la testa. E soprattutto di tutte le persone che non prendono una posizione contro le ingiustizie.

A tutte le Donne

Se potessi scegliere un superpotere, vorrei avere quello di farvi vedere voi stesse con i miei occhi. Non vedreste più pezzi rotti e fallimenti. Vedreste forza, bellezza e resilienza. Vedreste il vostro valore in quanto creature meravigliose. Se solo potessi avere un superpotere, vorrei avere il potere di restituirvi la vera immagine di voi stesse. E questo mondo sarebbe molto diverso, perché avremmo la consapevolezza di poterlo cambiare.

Dimenticherò tutto

Il mio cuore è un campo di battaglia seminato di corpi inermi. I morti che giacciono sulle macerie sono tutte le versioni di te: quella dolce e premurosa; quella passionale; quella triste o arrabbiata. Sono tutte lì. Fredde e immobili.
Passo accanto ad ognuna di loro mentre sussurro una preghiera a me stessa: dimentica in fretta questa carneficina, amore mio. Solo allora potrai fare ritorno in questo campo desolato e abitato da fantasmi, per prenderti cura del suo giardino.

Spesso la gente pensa che mettere la propria felicità nelle mani di altre persone significhi solamente dipendere dall’amore e dall’approvazione di chi ami. Non sa quanto si sbaglia. Se stai bene quando sta male chi non ti piace, se provi gioia nel creare problemi a chi detesti, sei loro schiava esattamente nello stesso modo in cui lo sei quando la tua felicità dipende da coloro che ami. La tua felicità dipenderà comunque da qualcun’altro. Ma in modo inverso.

Il tuo ricordo è solo un’ombra

Sto modellando il tuo ricordo. Per prima cosa ho nascosto gli occhi. Avevo troppa paura di perdermi in loro come ho fatto mille volte in questi mesi.

Ho strappato via le labbra subito dopo. Troppi baci avrei voluto ancora dargli.

Ho cancellato il tuo odore, il tuo sapore e ho soffocato la tua risata.

Sto modellando il tuo ricordo affinché smetta di farmi male ogni volta che viene a trovarmi.

Ormai di te è quasi rimasta solo l’ombra.

Ciò che non posso strappare via è il cuore. Non il tuo, quello già non c’era da tempo. Ma il mio. Quello che tenevi fra le mani.

Il tuo ricordo è solo l’ombra di un uomo con il mio cuore spezzato in mano.

Dicono che la speranza sia l’ultima a morire. Lo dicono come se fosse qualcosa di positivo. Credetemi non lo è. Almeno non sempre. In alcuni casi la speranza è come un respiratore attaccato alla persona che sei stata mentre amavi qualcuno. Quella persona deve morire… vuole morire. Ma la speranza è come l’accanimento terapeutico: la lascia in vita anche se ormai non rimane quasi nulla di lei. È quasi un cadavere.
Ogni volta che lui non risponde a un messaggio ogni volta che dice o fa una certa cosa continua a pugnalare quel corpo esanime che però non riesce a riposare in pace a causa di quella maledetta melma in cui è impantanato: la speranza. La speranza che si renda conto di ciò che ha fatto, che guardi in faccia la verità e la racconti. Che abbia il coraggio di sentire fino in fondo il suo dolore per poter prendersi cura anche di quello degli altri. Ma la verità è che le persone non cambiano. Almeno non quelle che non lo vogliono veramente e per sé stesse. E quella speranza è solo un fantasma a cui ci aggrappiamo perché non vogliamo “morire un poco per poter vivere” , proprio come dice la canzone “Arrivederci, amore ciao”.

Una bomba de relojería

Mi amor, deja que los días te excaven por dentro, profundamente, un sepulcro para mi memoria. Y deja que otras personas y cosas pendientes lo entierren. Pero mi memoria no es un cadáver que pueda descansar en paz en la oscuridad del olvido al que te sometes. Por el contrario, es una bomba de relojería, que hará que tu corazón explote cuando llegue el momento.


Amore, lascia che i giorni scavino in profondità dentro di te un sepolcro per il mio ricordo. E lascia che altre persone e cose da fare lo seppelliscano. Ma il mio ricordo non è un cadavere che può riposare in pace nel buio dell’oblio a cui tu ti costringi. Al contrario è una bomba ad orologeria, che quando arriverà il momento ti farà esplodere il cuore.

Web Analytics

Avrei potuto colpire. Duro. Nel punto dove fa più male. Esattamente come ha fatto lui. E la tentazione c’è stata. Giuro che c’è stata. Ma non voglio che le mie azioni siano delle reazioni a ciò che fanno gli altri. Significherebbe esserne schiava.

Avrei potuto gridare a tutti la verità. Ma a che servirebbe? Chi mi conosce la sa già. E degli altri perché dovrebbe importare? Erano importanti di riflesso. Erano importanti per lui e quindi di conseguenza lo erano per me. Adesso non contano più.

Avrei potuto dare meno, essere meno, avrei potuto non dare troppe possibilità. Ma forse sarei rimasta con il dubbio, con quella domanda che scava lentamente come l’acqua nella roccia: come sarebbe andata se lo avessi fatto? Preferisco avere rimorsi che rimpianti. Preferisco questo dolore nel petto piuttosto che il nulla. Adesso almeno so di essere capace di amare in un certo modo. Di non essere una frigida del cuore.

Non mi resta da fare altro che scrivere via tutto il dolore, consegnarlo a chi lo vorrà ascoltare e a chi si rivedrà in ciò che scrivo, come ho fatto da quando ho memoria di me. Il resto verrà da sé e quando questo dolore passerà, resterà solo l’orgoglio di essere rimasta fedele a me stessa.

Non mi metterò a lottare con le unghie e con i denti per rimanere nella sua vita. Perché se devi aggrapparti a qualcosa affinché non ti scivoli via dalle mani, semplicemente vuol dire che non è tua.

Non mi metterò a gareggiare con la famiglia, con la madre, con gli amici per il suo affetto perché dovrebbe essercene a sufficienza per tutti nel cuore di una persona. Sono solo diversi i tipi di relazione, ma l’amore è uno solo. E non ho nemmeno paura di competere con qualcuno. È solo che non mi interessa farlo.

Se la relazione deve diventate un campo di battaglia, preferisco ritirarmi. L’amore è tante cose ma di certo non è una guerra. Quindi… Innalzo bandiera bianca, mi arrendo. Preferisco essere felice da sola che combattere per qualcosa che mi spetta di diritto per il solo fatto di essere viva: essere amata.

Dicono che se tiri troppo la corda, poi quella si spezza. No, nel mio caso no.

La mia non si spezza. La mia si allunga, si sdillabra, perde i contorni e smette di servire al suo scopo. Ma non si spezza.

Resta lì, a ricordarti che c’era qualcosa che ti teneva legato a me. E ora non c’è più.

Così tante persone confondono il brivido del proibito con l’interesse verso qualcuno. Provarci con chi non dovresti stare è così allettante che potrebbe sembrare chimica quando in realtà è solo l’eccitazione nel fare qualcosa al fuori dalle regole. Questo tipo di “intesa” è destinato a scomparire una volta rimosso l’aspetto del proibito. Se solo le persone si fermassero per un secondo e si chiedessero “cosa sto per perdere per un poco di adrenalina?”.

Barattano la vera felicità con qualche brivido sulla schiena. Non si fermano a pensare prima di buttare via un cuore spalancato verso di loro e per qualche orgasmo sono pronti a lasciar andare il futuro che li avrebbe attesi.

Chissà perché non si rendono mai conto in tempo che stanno perdendo l’occasione di costruire qualcosa di vero in un mondo che li vuole sempre più falsi.

Tutto attorno a me grida “non arrenderti”. Gli amici, i familiari, persino i reels di Instagram. Ovunque si posi il mio sguardo o la mia attenzione, lì trovo una frase motivazionale, un post di incoraggiamento: “Non arrenderti”.
Ma cosa c’è di male nell’arrendersi? Cosa c’è di male nello sprofondare nel dolore, sentirlo fino in fondo. Cosa c’è di male nel non voler continuare questo giro di giostra senza senso?
Sono così stanca di questa retorica del positivismo a tutti i costi. Dobbiamo vincere contro le avversità, dobbiamo lottare e superare ogni ostacolo, dobbiamo, dobbiamo. Ma perché?


Per chi? Per noi stessi? No, dobbiamo farlo per gli altri, per la società, per rimanere dentro i suoi ingranaggi, per continuare a consumare, comprare, pagare. Trattate come pazzi coloro che non vogliono più continuare a far parte di questi meccanismi feroci e disumani ma i veri pazzi siete voi che vi illudete di poter continuare a vivere così per sempre anche se il nostro pianeta brucia. I pazzi siete voi che ignorate il dolore del mondo, dei suoi figli che attraversano i deserti e i mari per trovare una vita migliore. I pazzi non siamo noi che ci sentiamo diminuire ad ogni morte, ad ogni ingiustizia. Noi siamo l’unica speranza dell’umanità ma ci state perdendo uno ad uno perché ci trattate come se avessimo qualcosa che non va invece di sostenere la nostra sensibilità e utilizzarla come promemoria per quello che vi state ostinando a ignorare. Ci trattate come folli ma chi è il vero pazzo? Colui che grida “al fuoco” o coloro che continuano a stare dentro, seduti davanti alla televisione, mentre la loro casa sta bruciando?

Perché mai dovrei continuare a lottare, a non arrendermi se questa battaglia la sto facendo prima di tutto contro i miei fratelli e le mie sorelle? Il mio nemico è la mia stessa specie. Non è la Terra a tradirmi. E nemmeno la Morte. È l’indifferenza davanti ai mali del mondo la causa della voragine che ho nel petto. Come posso non sentire tutto il peso del mondo addosso se le persone attorno a me non lo condividono con me? E allora perché non dovrei arrendermi? Per non farvi sentire male in quei 5 minuti contati, fra una serie di Netflix e una birretta in centro, in cui vi soffermerete a pensare che forse potevate fare qualcosa in più? No grazie.

Se vorrò arrendermi lo farò, ne ho il diritto. Ho il diritto di abbandonare il campo di battaglia. Ho il diritto di essere stanca. Ho il diritto di essere infelice. Ho il diritto di decidere per me senza essere definita dal vostro giudizio. E se per caso non dovessi arrendermi alla fine, non lo farò per qualcuno e nemmeno per me. Sarà così perché avrò trovato un senso più grande di tutte le contraddizioni del mondo.

Please stop talking this crap about how important self-love is, in order to be loved by someone else. You deserve to be loved especially when you feel worthless and unlovable. You learn to love yourself through the love of others, through the love of people who support you despite everything and love you more, precisely because you don’t love yourself and not despite the fact that you can’t. Hold on, because that person will come along and love you enough for both of you.

Se domani tornassi indietro nel tempo, rifarei tutto esattamente come ho fatto. Non cambierei una singola scelta, anche sbagliata. Non cercherei di risparmiare più soldi o più tempo. Non scapparei da nessuna sofferenza e decisamente rivivrei i momenti belli. Non cambierei un singolo incrocio della mia strada e non perché sia sempre stata facile o interessante ma perché è l’unica strada che sono certa conduca a te.

Non ho mai desiderato incontrarti

“Ho sempre desiderato incontrare una persona come te”. Mi hanno appena scritto questa frase.

“È una stronzata!” ho pensato.

Si può sapere come fa una persona a desiderare di incontrare qualcuno che ancora non conosce?

“Eh ma probabilmente si riferisce alle caratteristiche generali tipo la bellezza o l’intelligenza” direte voi.

Ok. Ma quindi mi state dicendo che a parità di “caratteristiche generali” una persona vale l’altra!

Anche io avevo un certo ideale in testa, finché non ho capito che quella persona ideale che avevo immaginato ero io. Era la persona che io voglio essere quando mi relaziono con qualcuno.

E poi quando ho incontrato qualcuno che mi ha rubato il cuore, mi sono resa conto che non solo non avevo mai desiderato una persona come lui ma non avrei mai neppure potuto immaginarla.

Addirittura, ho realizzato che le poche idee che avevo su chi volevo accanto, avrebbero potuto impedirmi di conoscere e provare dei sentimenti verso una persona meravigliosa solo perché non corrispondeva a quella immagine che avevo in testa.

“Non ho mai desiderato conoscere una persona come te e mai avrei creduto di stare con qualcuno come te ma sono felice che sia successo perché nemmeno la mia fantasia avrebbe potuto mai immaginare i giorni meravigliosi che ho passato con te”.

Questo messaggio è il risultato di queste riflessioni. È la mia risposta… Non alla stessa persona che mi ha scritto però!

Come un tramonto sul mare..

tramonto

Non ti amo come si amano le stelle, il mare o la musica.

Non ancora.

Ti amo come si amano le piccole cose.

Come se fossi la sfumatura di un colore o il profumo di un limone.

Ti amo come certi gesti o certi silenzi.

Ti amo come si amano alcuni momenti della giornata, come quello in cui stai per addormentarti.

Ti amo come una risata, come il solletico.

Come se fossi un tramonto sul mare.

Non ti amo con grandi gesta o cerimonie.

Ti amo con il quotidiano, con il semplice.

Non ti amo da morire..

..ti amo da vivere.. e tanto.

Ti amo da sognare, da viaggiare, da conoscerti.

Ti amo da crescere.

Non ti amo come se fossi al centro del mio mondo ma ti amo tanto da cercare il mio centro.

Ti amo come si amano le sfide, le grandi vittorie o le volte in cui ti rialzi da terra.

Non ti amo ancora come ti amerò fra un giorno, un mese o un anno.

Ti amo come so amare qui e ora.. con tanta vita insieme e un po’ di parole in un post.


No te quiero como se quieren las estrellas, el mar o la música.

Aún no.

Te quiero como se quieren las cosas pequeñas.

Como si fueras el matiz de un color o el aroma de un limón.

Te quiero como ciertos gestos o ciertos silencios.

Te quiero como se quieren algunos momentos del día, como cuando entras en la cama justo antes de dormir.

Te quiero como una sonrisa, como las cosquillas.

Como si fueras una puesta de sol sobre el mar.

No te quiero con grandes actos o ceremonias.

Te quiero con lo cotidiano, con lo simple.

No te quiero hasta morir

pero sí te quiero hasta vivir, y mucho.

Te quiero hasta soñar, viajar, conocerte.

Te quiero hasta crecer aún más.

No te quiero como si fueras el centro de mi mundo, pero te quiero tanto como para buscar mi centro.

Te quiero como se quieren los desafíos, las grandes victorias o las veces que te levantas del suelo después de una caída.

Todavía no te quiero como te querré en un día, un mes o un año.

Te quiero como sé querer aquí y ahora … en cada momento que compartimos, con estas palabras y las que nos decimos.

Cosa scelgo oggi

Non so cosa avrei scelto se avessi saputo che sarebbe stato come avere una finestra sul petto, con il cuore in bella vista sul davanzale; o se qualcuno mi avesse detto che sarebbe stato come stare a penzoloni sul bordo di un burrone. Nessuno ti prepara. Nessuno ti spiega che cosa significa aprirsi veramente con un altro essere umano. Nessuno ti dice che inizierai a sentirti nuda, esposta, indifesa. Non so se, tornando indietro con questa consapevolezza, sceglierei di nuovo la stessa strada invece che restare nel mio guscio.

Tutti quegli tsunami nel cuore, tutte quelle capriole nello stomaco erano solletico in confronto alla sensazione di essere completamente senza maschere, senza filtri. Essere te senza scudi, essere te senza l’armatura che ti ha protetta. Quella stessa armatura che però ti ha schermata anche dalla bellezza di un sentimento vero, dalla poesia di due corpi che si toccano il cuore a vicenda.

Nessuno ti dice che sarà tanto bello quanto terrificante, che ti attrarrà come acqua nel deserto e allo stesso tempo ti farà  venire il desiderio di scappare su un altro pianeta. E soprattutto nessuno ti dice che ci saranno momenti in cui perderai completamente l’equilibrio e sarà davvero dura ritrovare il tuo centro in mezzo alla bufera che avrai dentro.

Non so cosa avrei scelto se avessi saputo tutto questo. Ma so cosa scelgo oggi. Cosa ho scelto ieri. Scelgo di non fuggire, di provare, di inciampare e rialzarmi, perché ciò che mi aveva ingabbiato il cuore mi ha anche allenato alla resilienza e alla lotta. Perché, proprio come i duri colpi di uno scalpello sul marmo sono ciò che lo trasformano in un’ opera d’arte, la sofferenza mi ha plasmato in una combattente.

Gli anni dispari

Si avvicina il mio compleanno. 38 anni. Che seccatura. No, non per l ‘età che avanza ma per i numeri pari. Vorrei passare direttamente a 39 e poi 41. Ero felicissima con il 37. Non chiedetemi perché ma gli anni dispari mi stanno addosso bene, come la mia giacca in finta pelle o le gonne corte. Quelli pari invece…
Ma il mio problema con i compleanni pari non è niente a confronto con quello che vivono le mie coetanee. Guardo sui Social, le ascolto al supermercato o nei pub e tutte (quasi tutte) non fanno altro che lamentarsi dell’età che avanza. E via con meme sul confronto fra 20enni e 30enni, lamentele che rasentano il pianto, per le prime rughe o per quello che doveva essere e non è stato.
E io quando vedo o sento certe cose che scrivono o dicono mi sento indecisa fra tirare loro uno schiaffo per svegliarle o abbracciarle per rassicurarle. Vorrei andare da ognuna di loro e chiedere se si ricordano di essere state davvero così felici a 20 anni. Io di certo non lo ero.

Questa ragazza di 20 anni era bellissima. Molto più bella di me forse, esteticamente, e le vorrò per sempre bene ma non ha neanche la metà del mio carattere, della mia tenacia e del mio talento. Il mio spirito ha attraversato deserti e sbriciolato montagne e se questo si vede sul mio volto, posso solo esserne fiera. In questo momento della mia vita che è difficilissimo, non vorrei mai e poi mai avere lei al mio fianco perché sarebbe stato l’inferno cercare di rassicurarla sul domani mentre cerco disperatamente di vivere il presente. Di starci ancorata e godermi ogni momento come se fosse l’ultimo. Mio. Di mio padre. Di mia madre. Delle persone che amo.
Se solo potessi, direi a tutte le donne il segreto che non hanno ancora scoperto: l’importante non è rimanere giovani, l’importante è rimanere presenti. A sé stessi, agli altri, ai propri sogni, alle versioni di noi che non sono più ma che portiamo dentro. E alla versione 20enne di me dico: ti voglio bene, ti perdono per il male che ti sei fatta, ti sono grata per essere rimasta e ti ammiro per la forza che ti è costata farlo. Adesso però ci sono io, puoi riposare.

“E perché no?”

“Perché è successo proprio a me?”. Quante volte abbiamo pensato, detto o sentito dire a qualcuno questa frase? Quando ci succede qualcosa di spiacevole, automaticamente ci chiediamo cosa abbiamo fatto di male per meritarci ciò che ci è accaduto; e quando la risposta è “niente, non ho fatto niente di male”, allora sorge spontanea la famosa frase “Perché proprio a me?”. Come se la vita fosse un sistema lineare di azioni e reazioni, ricompense e punizioni per ciò che facciamo, diciamo o pensiamo. Ma da cosa deriva questo modo di pensare così illogico e lontano dalla realtà? Forse dal retaggio cristiano; poco importa, però.

L’unica cosa che importa, è liberarsi quanto prima del pensiero magico: “se mi comporto bene, mi succedono cose belle, altrimenti mi succederanno cose brutte.”. La vita è caotica, imprevedibile, impermanente e tutt’altro che lineare.

La prossima volta che ti succede qualcosa che non ti piace, fermati e pensa: “E perché no? Perché non a me?”. In un mondo in cui tutto succede in modo completamente random (basta pensare alla casualità che ti porta a nascere in un paese ricco o povero, con qualche malattia o in piena salute, ecc. ) perché quella cosa che proprio non volevi, non doveva accadere a te?

Se vuoi smettere di soffrire, liberati dalla visione in bianco e nero della vita, che ti rende vittima di una ingiustizia ogni qual volta ti succede qualcosa di spiacevole anche se ti sei comportato bene. In questo modo proverai dolore nel momento stesso in cui succede ma non soffrirai nel tempo, continuando a ripeterti una narrativa che ti rende la vittima della situazione. Il tuo dolore sarà verticale, puntuale. E non orizzontale, protratto nel tempo.

Quando cominci a sentire quella voce che dice “Perché proprio a me!?” rispondile “E perché no?”.

No te sorprendas si tu corazón tardó más en sentir lo que tu cabeza ya había entendido y tu vientre había intuido aún antes. Tu corazón es la parte de ti que cree en las personas y esa parte es la que enfrenta el trabajo más difícil cuando descubres que las personas que tienes delante no son quienes pensabas que eran.

Don’t be surprised if your heart took longer to feel what your head had already understood and your gut had sensed even earlier. Your heart is the part of you that believes in people and the one that faces the hardest work when you discover that the people in front of you are not who you thought they were.

Algunas veces una relación puede ser como un juego. No hay nada malo en eso si tú también eres un jugador. El problema surge cuando te das cuenta que tú eres el juguete. En aquel momento hay solo una cosa que hacer: ¡Corre!

Tira fuori il coraggio che non c’è più tempo per essere una taccagna del cuore. Il mondo sta per finire. Il momento di amare è adesso (o mai più).

La tua anima.

La ruota della fortuna

Sono una donna che ha raggiunto moltissimi obiettivi. A 37 anni ho 5 lauree e quasi un dottorato di ricerca. Ho sempre lavorato da quando ho lasciato casa dei mie a 18 anni (anche se alle volte ho preso una miseria ma per fortuna ho avuto la mia famiglia alle spalle). Ho girato il mondo e ho vissuto in 4 continenti diversi. Mi sono buttata mille volte nel vuoto, anche letteralmente dal cielo. Ho scritto canzoni e libri, cantato e recitato. Ho veramente fatto di tutto.

Eppure tutto quello che ho fatto nella mia vita è stato frutto della fortuna. No, non sto avendo un attacco di “Sindrome dell’impostora”. Sto solo riflettendo sul fatto che qualsiasi traguardo io abbia raggiunto sia stato il figlio di quella fortuna che ho avuto nel momento della nascita. Se solo non fossi nata in Europa o in una famiglia benestante non avrei avuto nemmeno la metà delle opportunità che ho avuto. Forse non avrei neanche potuto finire (o iniziare) la scuola elementare o non avrei avuto la salute che solo una buona nutrizione può darti. Niente di ciò che ho fatto e raggiunto è veramente e completamente merito mio. E questo vale anche per te che stai leggendo questo post. Ricordatelo quando ti lamenti delle persone che dormono sulle panchine. O di quelli che arrivano sui barconi. Un altro giro alla ruota della fortuna e ci potevi essere tu a rovistare fra i cassonetti. Ricordalo sempre. Io lo ricordo. E te lo ricorderò ogni volta che sarà necessario.

Una volta una persona speciale mi disse che ho la capacità di spalancare il cuore come fosse una finestra e che lì dentro c’è spazio per tutti perché è grande come una piazza. Poi però ha aggiunto che quando apri devi essere preparata al fatto che può entrare di tutto. Che la cosa difficile è mantenere aperto anche quando farà male. E fa male. Quando qualcuno muore. Quando senti alla radio che una mamma ha perso suo figlio. Quando qualcuno a cui volevi bene ti delude. Certe volte fa così male che vorresti sbarrare tutto e magari lo fai anche. Per sopravvivere. Per riposare. Per sanare. Ma tanto sai che non sarà per sempre. Perché chiudere al dolore significherebbe anche chiudere alla gioia e a quel punto cosa rimarebbe di te? saresti solo una morta che cammina.

Oggi, in una delle mie classi ho parlato della differenza tra identità sessuale, orientamento sessuale e genere. Ho spiegato ai ragazzə i termini cis, trans, intersessuale e molti altri.

Una volta terminata la spiegazione, ho chiesto la loro opinione e tuttə hanno risposto con frasi fatte, quelle che si aspettavano da me. Io ho ascoltato e ringraziato. Dopodiché ho chiesto loro cosa pensassero per davvero. Gli ho promesso che non lə avrei giudicatə. E così ho fatto, anche quando qualcuno mi ha detto che le persone trans “gli fanno strano”, o anche di peggio. Non lə ho rimproveratə. Anzi. Ho spiegato loro che quello che pensano è frutto delle loro esperienze, del tipo di educazione e socializzazione che hanno ricevuto e che se non vogliono non devono per forza cambiare idea. Sono liberə di pensare e fare ciò che vogliono. Poi ho aggiunto: “E questa stessa libertà la devono avere anche coloro che la pensano diversamente da voi, coloro che per esempio vogliono sposare una persona dello stesso sesso, cambiare sesso o addirittura sentirsi donna pur volendo tenere il proprio pene. Se siete contro il matrimonio gay, non sposatevi con persone delle stesso sesso ma lasciate che chi lo voglia fare, possa comunque farlo”. Hanno capito. Magari non hanno cambiato idea, ma hanno capito.

Non puoi parlare di libertà e poi obbligare le persone a fare e pensare ciò che vuoi tu.

Post

Cara amica, collega o conoscente, mi dispiace se ti senti minacciata dalla mia indipendenza, dalla mia scelta di non fare figli o dal mio essere single. Mi dispiace se rivedi in me sogni giovanili che non hai potuto realizzare o se invidi le esperienze che ho fatto e che farò e che tu non potrai più fare. Mi dispiace se mi reputi meno donna di te, perché pur avendo un utero non l’ho utilizzato per procreare, ma poi allo stesso tempo invidi la mia libertà. Mi dispiace se ti senti a disagio in mia presenza quando sei con il tuo compagno, immaginando che per il solo fatto di non averne uno, io sia una “cacciatrice” di uomini.

Mi dispiace per te, ma non credere che per me sia più facile.

Ho pagato cara la mia indipendenza, la mia vita da girovaga fuori dall’Italia o le mie esperienze fuori dal comune. Prima di tutto con la solitudine di chi non ha più una patria ma molte, che ha vite parallele che non si incontreranno mai e con la nostalgia che provo per la mia terra quando sono all’estero, o per tutti i posti in cui ho vissuto quando invece mi trovo in Sicilia. Invece la mia scelta di non generare altre vite in un mondo che diventa ogni giorno meno sostenibile, l’ho pagata con lo sguardo severo e giudicante della maggior parte della società, che per questa scelta mi reputa una pazza, una strega o una mezza-donna.

E infine le mie aspettative riguardo alle relazioni sentimentali, che per me non possono che essere libere, consapevoli e completamente reciproche, mi hanno trasformato in una donna intransigente che non riesce a barattare la sua preziosa solitudine con una relazione che non sia esattamente all’altezza delle sue aspirazioni.

Ognuna di noi ha fatto scelte diverse da quelle di ogni altra. E ognuna di noi ne paga le conseguenze e ne trae i propri benefici. Non compariamoci, non invidiamoci, non giudichiamoci. È già difficile di per sé essere donna in questa società patriarcale e sessista, non rendiamoci la vita ancora più impossibile, privandoci del conforto e dell’autorizzazione ad essere noi stesse, che solo le nostre simili ci possono dare.

Finestre oppure muri

Mi stupisce sempre di più come la stessa parola possa rappresentare qualcosa di totalmente diverso a seconda delle persone. Prendi la parola “Patria”, per esempio.
Per alcuni è quasi un sinonimo di casa, qualcosa per cui vale la pena lottare, perdere la vita o addirittura strapparla via agli altri. Un luogo da proteggere anche a costo di far morire annegati dei bambini. Per altri, è una parola priva di senso, un contenitore vuoto. È uno specchietto per le allodole, un banale espediente per giustificare la violenza più vile, quella che priva della libertà e della vita.
Le parole possono essere finestre oppure muri, come diceva giustamente Rosenberg, per quello che rappresentano e per le conseguenze che comportano. E sta a noi riempirle del giusto significato.

Amore eterno

El universo juega conmigo a la gallinita ciega. Mientras giro en círculos, me susurra indicaciones incomprensibles.

Me regala poemas con olor a futuro y un momento después me quita los suspiros.

El universo se burla de mí. Me rasga el pecho para plantar semillas de felicidad que no crecerán.

Oh sí, tiene una extraña forma de amarme, es verdad. Pero al menos estoy segura de que será amor eterno


L’Universo gioca con me a moscacieca. Mentre giro su me stessa mi sussurra indicazioni incomprensibili.

Mi regala poesie che profumano di futuro e un istante dopo mi strappa via i sospiri.

L’Universo si prende gioco di me. Mi squarcia il petto per piantare semi di felicità che non cresceranno.

Eh si, ha uno strano modo di amarmi, è vero. Ma almeno sono certa che sarà amore eterno.

Web Analytics

E se fossimo tutti bestie violente come voi?

Ehi tu! Sì proprio tu che ti stai lamentando di quella coppia omosessuale che si tiene la mano: ma scusa che ti frega? Ti fanno schifo, dici. E non li capisci. Ah, e li vorresti pure picchiare.
Ok. Fai come ti pare. Picchiali pure.
Ma sì dai, che da oggi in poi ognuno di noi possa insultare, picchiare e uccidere tutti coloro che fanno cose che non ci piacciono o che non capiamo. La legge della jungla, no?
Ma stai attento perché sicuramente anche tu farai qualcosa che non piace a qualcuno o che non piace a me.
Da oggi guardati le spalle se per caso sei uno di quelli che nella foto profilo ci mette anche la ragazza, perché io proprio non capisco: ma se il profilo è tuo perchè ci devi mettere la faccia di qualcun altro?
E non ti avvicinare a me se pubblichi foto che ti sei fatto davanti allo specchio in palestra. Mi fa schifo e un pugno in faccia non te lo toglie nessuno. E non postare nemmeno tue foto con aforismi e soprattutto smettila di parlar male di quella persona senza nominarla: come se non lo sapesse tutto il mondo che avete litigato!
Fai attenzione anche nel caso in cui tu non sappia utilizzare il congiuntivo e gli accenti. Facciamo anche l’uso dell’h nella coniugazione del verbo avere. Al terzo errore ti vengo a cercare a casa.
Ah! e ricordati di non andare in giro con i pantaloni sotto al culo. E assicurati anche che ti coprano le caviglie.
Non ti sposare mai, perché io non credo nel matrimonio. E non fare figli che già le risorse nel mondo sono poche e gli orfani sono tanti.
Non buttare le cicche a terra e i fazzoletti fuori dal finestrino della macchina. Te la graffio tutta se lo fai.
Non mangiare carne e pesce altrimenti giuro che ti ficco due dita in gola e ti faccio vomitare. E se non fai la differenziata ti differenzio il pene dal resto del corpo.
Ah! un’ultima cosa.. se sei razzista, omofobo, maschilista, xenofobo, fascista o leghista, (che poi è la stessa cosa) occhio che ti sparo dal balcone di casa.

L’uomo di Neanderthal

“Siete tutte uguali.” mi dici quando mi vuoi sminuire. E io ti rispondo che non sono uguale a nessuno. Sono peggiore.

“Nessuna è come te.” Mi dici pensando che sia il mantra per manifestare il tuo pene dentro la mia vagina. E io ti rispondo che non gareggio contro nessuna delle mie sorelle per salire sul tuo podio.

“Sei isterica.”

“Hai il ciclo?”

“Ma fattela una scopata, così ti passa tutto.”

Il tuo repertorio è sempre lo stesso. Le mie risposte no. Cambiano, si adattano, si evolvono con me.

È una cosa che dovresti provare, l’evoluzione. Potrebbe stupirti la quantità di commenti che eviteresti di fare dopo averla provata.

Que todo se rompa..

“Suelta”.
Mientras lloraba como una niña.
“Deja que todo se rompa”.
Mientras la desesperación se apoderaba de mí.
“Deja que se vayan”.
Mientras el dolor del abandono me convertía en una cáscara vacía.
“Suelta el control”.
Mientras intentaba agarrarme a ellas para que no se fuesen.
“Deja que todo se derrumbe”.
Mientras pedía perdón por algo que no había hecho.
“Deja que su ausencia abra espacio para algo nuevo”.
Mientras mendigaba amor.
“Suelta. Suelta mi amor”.

Mientras mi corazón se rompía, mi alma me hablaba.
Por fin, la escuché.

Come decidere di essere felici

Cosa significa “la felicità è una decisione”? Sembra una di quelle frasi fatte che la gente pubblica sui social per sembrare saggia, ma non lo è. La confusione sorge dal fatto che manca tutta la spiegazione che c’è dietro: la felicità è la decisione di essere grata per quello che hai invece di lamentarti per quello non c’è. Decidere di accettare la fine di un qualsiasi tipo di relazione invece di ostinarsi a trattenere delle persone che non vogliono rimanere. Decidere di custodire i bei ricordi invece di rimuginare sulle situazioni spiacevoli. Decidere di fare del proprio meglio per raggiungere i tuoi obiettivi invece di invidiare chi già è arrivato. In sostanza è decidere di distogliere la propria attenzione dalla mancanza e di coltivare la gratitudine. E anche decidere di lasciar fluire la tristezza, la rabbia, la paura: in pratica smettere di raccontare e raccontarsi la storia legata a queste emozioni e lasciarle essere, sentirle senza giudizi e senza narrativa (“perché lei ha fatto questo”, “ma se non fosse successo quello”, ecc.). Sentirle con il corpo e non riviverle con la mente.

Silvia, stavolta non sei sola

Ciao Silvia,

come stai? come ti senti?

Mi viene istintivo scriverti come si farebbe con un’amica anche se non ci conosciamo e tu non hai mai nemmeno sentito parlare di me. Io sì, ovviamente. Tanto. E per tanto tempo ho lottato come moltissime altre italiane (e italiani) affinchè la tua assenza non diventasse “normale”.  E poi, proprio quando stavo per perdere le speranze è arrivata la notizia della tua liberazione.

Nel pieno di una crisi sanitaria e sociale assurda ho vissuto il tuo ritorno come il segno che tempi migliori stanno per arrivare. Le pagine dei giornali e le bacheche di facebook e degli altri social si sono riempite della tua faccia sorridente, e per un po’ hanno smesso di parlare di morti, guariti e contagiati.

Ma è durata poco cara Silvia perchè hai fatto qualcosa di imperdonabile.. ti sei permessa di decidere che religione seguire, che vestiti indossare, che nome darti.

In un Paese che si vanta di essere una democrazia in cui le donne non sono considerate oggetti e godono delle stesse libertà degli uomini, le critiche che ti rivolgono per le tue scelte religiose sono il paradosso più grande: dimostrano infatti che noi donne siamo libere finchè la nostra libertà rientra dentro le cornici stabilite dalla società, dal buon costume.. ovvero dall’italiano medio.

Eh si, sei tornata libera solo per scoprire che nemmeno una pandemia e una crisi sociale mondiale sono riuscite a cambiare le contraddizioni di cui siamo prigioniere tutte, da sempre.

Ma non ti preoccupare Silvia, stavolta dentro questa prigione non sei sola.

Forse..

Forse quando tutto questo sarà finito, tornando alle nostre vite ci sembreranno più belle di prima. Forse andare a fare una passeggiata non sembrerà più così scontato e ci abbracceremo anche di più.

O forse no.

Forse se non impariamo ad essere felici qui e ora non lo saremo nemmeno con più libertà e più compagnia. Forse se non impariamo ad amare le nostre vite adesso, in quarantena e senza tutte le mille maniere di evadere da esse, non le ameremo mai.

 

 

 

L’unico paragone che vale

Non credo che sia utile paragonarsi agli altri. L’ho creduto sempre. Ricordo che quando mia madre cercava di farmi mangiare ricordandomi come nel mondo ci fossero bambini che non avevano nemmeno un pezzo di pane, io pensavo “E allora? Se mi ingozzo loro avranno meno fame? a che serve paragonarmi agli altri?”.

E poi crescendo, non mi sono mai paragonata alle mie cugine che sceglievano percorsi  di vita diversi dal mio, nè alle mie coetanee che decidevano di avere dei figli a vent’anni o ai miei colleghi universitari che prendevano voti migliori o peggiori dei miei.

Ho sempre creduto che l’unico paragone che aveva veramente senso per me era quello con la me stessa del passato, di un giorno, di un mese o di 5 anni prima.

E anche adesso, in quarantena non mi interessa paragonarmi con chi sta meglio o peggio di me. Rabbrividisco quando sento persone che insistono nel sminuire la sofferenza degli altri sottolineando come ci sia chi sta molto peggio di loro. La sofferenza è sofferenza sempre. Quello che differisce nelle persone è la soglia del dolore e ovviamente questa soglia dipende dalle esperienze vissute, dal contesto, dal carattere e da molto altro ancora.

E poi trovo davvero triste e miserabile il cercare di tirarsi su pensando che tanto c’è chi ha meno di noi (spazio in casa, cibo, soldi, ecc.). Di nuovo, i paragoni non sono utili.

Anzi no, c’è di nuovo un paragone che ha senso e va fatto, quello con noi stessi.

Io per esempio penso a quanto sono fortunata ad aver superato un cancro prima di questa epidemia. La Elisabeth con il cancro aveva le difese immunitarie basse e il corpo a pezzi. Non avrebbe potuto accedere alle cure necessarie senza paura di essere contagiata.

E poi sono grata di aver superato la dipendenza affettiva prima del Covid19. Avere una dipendenza mentre sei costretta a stare chiusa in casa deve essere una tortura. Quante volte uscire con le amiche, andare al mare o semplicemente fare una passeggiata è stato per me un sollievo dal dolore assoluto di non avere accanto a me la persona da cui dipendevo affettivamente.  La Elisabeth dipendente avrebbe rotto la quarantena durante qualche crisi di astinenza (sì! la dipendenza affettiva è esattamente come ogni altra dipendenza).

Sono grata di non avere più quel perfezionismo che mi ha caratterizzato per più di metà della mia vita. La Elisabeth perfezionista avrebbe passato i giorni di quarantena  a soffrire per tutte le cose che non possono essere fatte nel miglior modo possibile (prima di tutto continuare con la ricerca di dottorato).

E più di ogni altra cosa sono grata all’Universo di avermi fatto aprire gli occhi su quel maledetto attaccamento alla maternità. Se oggi fossi ancora la Elisabeth in balia di ciò che detta la società, penserei che questo tempo per fermarsi, per guardarsi dentro, per vedere le incoerenze di un sistema economico e sociale malato,  sia “perduto”, tempo sprecato nel quale avrei dovuto trovare la persona giusta da amare e con cui fare dei figli. E paradossalmente avrei davvero sprecato questo tempo preziosissimo.

Non sprecatelo nemmeno voi, guardando a ciò che hanno o non hanno gli altri o pensando a come sarebbe potuto essere. Riprendevi il vostro tempo!

 

 


 

No creo que sea útil compararse con los demás. Siempre lo creí. Recuerdo que cuando mi madre intentaba obligarme a comer, recordándome que había niños en el mundo que ni siquiera tenían un trozo de pan, pensaba “¿Y qué? ¿Si como mucho ellos tendrán menos hambre? ¿De qué sirve compararme con los demás?”.

Y luego, al crecer, nunca me comparé con mis primas que eligieron caminos de vida diferentes al mío, ni con mis amigas que decidieron tener hijos a los veinte años o con mis colegas universitarios que sacaron mejores o peores calificaciones que las mías.

Siempre creí que la única comparación que realmente tenía sentido para mí era aquella con la Elisabeth del pasado, de un día, de un mes o de hace 5 años antes.

E incluso ahora, en cuarentena, no me importa compararme con quién está mejor o peor que yo. Me da escalofríos escuchar a las personas que insisten en disminuir el sufrimiento de los demás al señalar que hay quien está mucho peor que ellos. El sufrimiento siempre es sufrimiento. Lo que cambia en las personas es el umbral del dolor y obviamente este umbral depende de las experiencias vividas, del contexto, del carácter y de otras cosas más.

Y luego me parece muy triste y miserable intentar levantarnos el ánimo pensando que hay quien tiene menos de nosotros (espacio en la casa, comida, dinero, etc.). Nuevamente, las comparaciones no son útiles.

Un momento.. de hecho hay una comparación que tiene sentido y debe hacerse, nuevamente aquella con nosotros mismos.

Por ejemplo, pienso en la suerte que tengo de haber superado el cáncer antes de esta epidemia. La Elisabeth con cáncer tenía bajas defensas y un cuerpo roto. Ella no podría tener acceso al tratamiento necesario sin temor a ser infectada.

Y luego estoy agradecida de haber superado la adicción emocional antes del Covid19. Tener una adicción mientras te obligan a permanecer encerrada en casa debe ser una tortura. Cuántas veces salir con amigos, ir a la playa o simplemente dar un paseo ha sido un alivio del dolor absoluto de no tener a mi lado a la persona de la que dependía emocionalmente. La Elisabeth dependiente habría roto la cuarentena durante una crisis de abstinencia (¡<Sí! La dependencia emocional es exactamente como cualquier otra adicción).

Estoy agradecida de que ya no tengo el perfeccionismo que me ha caracterizado por más de la mitad de mi vida. La Elisabeth perfeccionista habría pasado los días de cuarentena sufriendo por todas las cosas que no se pueden hacer de la mejor manera posible (en primer lugar la investigación de doctorado).

Y más que nada, estoy agradecida al Universo por haberme abierto los ojos frente a ese maldito apego a la maternidad. Si hoy fuera la Elisabeth que estaba a la merced de lo que dicta la sociedad, pensaría que este tiempo para mirarse hacia adentro, pararse y ver las incoherencias de un sistema económico y social enfermo, es “tiempo perdido”, tiempo malgastado en vez de utilizado para encontrar a la persona adecuada con quien tener hijos. Y paradójicamente, habría perdido realmente este precioso tiempo.

No lo desperdiciéis tampoco vosotros, mirando lo que otros tienen o no tienen o pensando en cómo podría haber sido diferente la vida. ¡Recuperad vuestro tiempo!

A te che non sei solo un numero..

Ti prometto che quando tutto questo finirà non dimenticherò che dovrò onorare la mia vita anche per te. Non dimenticherò di essere grata per ogni respiro, per ogni passeggiata, per ogni abbraccio. 

Ma soprattutto ti prometto che non dimenticherò la lezione che abbiamo dovuto pagare con il prezzo più alto, lotterò affinchè la tua morte non sia stata vana e tutto questo dolore abbia un senso più grande. 

Sento di avere il dovere morale di trasformare in occasione questa enorme perdita. E così pretendo che per ogni abbraccio perduto questo virus ci restituisca un pezzo di cielo più pulito e lotterò affinchè rimanga tale. Per ogni lacrima versata pretendo un pezzo di mare libero dalla plastica e un animale libero dalle gabbie. E soprattutto pretendo per ogni morte, migliaia di vite salvate dalla guerra e dalla fame. 

Un giorno racconteremo ai nostri nipoti di come una guerra contro un nemico invisibile abbia unito tutti i popoli della terra, di come la natura ci abbia mostrato i paradossi di un sistema economico che come un cancro stava uccidendo il nostro stesso pianeta e poi racconteremo di come grazie al sacrificio di molti, l’umanità si sia salvata dall’estinzione.

Ti prometto che non lascerò che l’eredità di questo virus sia solo morte e dolore, non smetterò di lottare finché non potremo scrivere nei libri di storia che questa tragedia ci ha restituito il vero senso della vita.

Il regalo mai donato

Ti dedico il primo spiraglio di luce che entra dalla mia finestra la mattina.

A te dedico il sapore che mi resta in bocca dopo aver bevuto una spremuta e il profumo che il mare mi lascia sulla pelle dopo un bagno.

Sono per te i brividi lungo la schiena e anche quel piacere che solo io so darmi.

Ti dedico il riposo pomeridiano, il gelato al pistacchio e la mia pizza preferita.

Ti dedico la gratitudine che provo per averti conosciuto.

A te dedico le melodie che mi affollano la testa, le parole di questo post e i colori che immagino per il prossimo quadro.

Ti dedico la nostalgia che provo quando penso al passato e tutta la speranza che ho per il futuro.

Per te i miei momenti di riflessione, gli starnuti e il solletico che provo quando mi sfiori.

Ti dedico la mia fantasia e i sogni che ti racconto la mattina, appena svegli. 

È  per te la soddisfazione dopo una corsa.

Ti dedico la sofferenza che porto nel cuore da quando ho memoria di me, la mia empatia e la mia sete di giustizia.

Ma più di ogni cosa, sono per te la fiducia nella vita, nel nostro maestro e nell’umanità.


 

Te dedico el primer destello de luz que entra por mi ventana por la mañana.

A ti te dedico el sabor que queda en mi boca después de beber zumo de naranja y el olor que el mar deja en mi piel después de un baño.

Para ti son los escalofríos y el placer que solo yo sé darme.

Te dedico la siesta, el helado de pistacho y mi pizza favorita.

Te dedico la gratitud que siento por haberte conocido.

A ti te dedico las melodías que me llenan la cabeza, las palabras de esta poesía y los colores que imagino para mi próxima pintura.

Te dedico la nostalgia que siento cuando pienso en el pasado y toda la esperanza que tengo para el futuro.

Para ti mis momentos de reflexión, los estornudos y las cosquillas que siento cuando me tocas.

Te dedico mi fantasía y los sueños que te cuento por la mañana, tan pronto como me despierto.

Para ti es la satisfacción que se siente después de salir a correr.

Te dedico el sufrimiento que llevo en mi corazón desde que tengo recuerdo de mí, mi empatía y mi sed de justicia.

Pero más que nada, para ti es la confianza en la vida, en mi maestro y en la humanidad.

Come una ragazza innamorata…

Cara amata Italia, 

ti scrivo da lontano anche se mai come in questo momento ti ho sentito così presente nel mio cuore. Mi trovavo in Spagna per fare un dottorato (e per scappare da te, lo ammetto) quando è scoppiata l’epidemia e sono rimasta chiusa fuori. Molti hanno pensato che fosse stato un bene per me ma io mi sentivo già dentro uno di quei film dove la protagonista conosce il futuro e nessuno le crede. Ho previsto tutto quello che è successo, perché lo avevo già visto succedere in Italia. Ho provato a spiegare – senza creare inutili allarmismi – ciò che sapevo. Per esempio che sarebbe bastato ridurre i momenti di incontro o fare più tamponi per evitare la rapidità del contagio che ha colpito l’Italia, solo che nessuno mi ha ascoltato. Non volevano sapere (in questo, ahimè, italiani e spagnoli si somigliano molto). Adesso anche qui stiamo per toccare il picco dei contagi e si diffonde la paura. Solo un’altra volta nella mia vita mi sono sentita come se non sapessi bene da dove arrivava il pericolo. E’ stato in Africa. Solo che lì le malattie di cui avevo paura arrivavano per la maggior parte dalle zanzare, dal cibo, dall’acqua, non dalle persone. E quando alla fine mi sono ammalata è stato il calore umano la mia più grande risorsa. I sentimenti che provavo per le persone conosciute lì mi facevano sentire invincibile, così tanto che decisi di lasciare la mia famiglia all’oscuro. Anche oggi lo farei se mi dovessi ammalare, ma stavolta non perché mi sento invincibile. Solo perché più del coronavirus mi spaventa l’idea che i miei genitori si sentano di nuovo impotenti di fronte alla mia malattia. Non ho mai visto il terrore negli occhi di mio padre prima di ammalarmi di cancro, nemmeno quando piangeva tutti i giorni mentre ero in Africa. E non ho mai visto mia madre rimpicciolirsi tanto. E infatti quando mi dissero che dovevano operarmi di nuovo mentì e raccontai loro che era tutto finito. E sono pronta a mentire di nuovo per proteggerli, solo che questa volta se dovesse succedere non avrò al mio fianco bambini che amo con tutto il cuore o amici e compagni di fede che sono disposti a rinunciare al loro tempo per accudirmi. Ed è per questo che vi scrivo. Perchè ho capito che la gravità di questo virus è che ti priva dell’unica cosa che ci rende invincibili: l’amore. Eppure, paradossalmente è proprio grazie a questo virus che ho riscoperto l’amore per la mia gente e la stima, che per troppo tempo ho creduto di aver perso per sempre. E ho capito anche che questo virus è il nostro banco di prova: è arrivato il momento di decidere che Italia vogliamo essere. Decidere se vogliamo essere l’Italia che evade le tasse, quella degli scaltri, di chi in un momento di crisi alza i prezzi dei beni di prima necessità, dei menefreghisti, l’Italia che chiude i porti e le porte in faccia a chi ha bisogno. Oppure se vogliamo essere l’Italia che in tempi difficili raccoglie fondi per i propri ospedali, che offre servizi gratuiti e fiori per le strade, che intona concerti nei balconi e fa la spesa per i più deboli. L’Italia bella, ma bella davvero. E dobbiamo decidere su cosa vogliamo puntare, che cosa vogliamo coltivare.  Ed è per questo che vi scrivo, proprio come lo farebbe una ragazza che scopre dopo molto tempo di essere ancora innamorata della persona che l’aveva tradita; e sapendo che è l’altra persona a dover decidere se vuole impegnarsi a coltivare la parte migliore di sé oppure no, quella ragazza può solo dirle che è disposta a tornare a fidarsi di lei. 

Io sono disposta a fidarmi ancora di noi. E voi?


Querida Italia,

Te escribo desde lejos aunque nunca como en este momento te he sentido tan presente en mi corazón. Estaba en España para hacer un doctorado (y para huir de ti, lo admito) cuando estalló la epidemia y me quedé cerrada fuera. Mucha gente pensó que era bueno para mí, pero yo me sentía como en una de esas películas donde la protagonista conoce el futuro y nadie le cree. Predije todo lo que sucedió, porque ya lo había visto suceder en Italia. Traté de explicar, sin crear un alarmismo innecesario, lo que sabía. Por ejemplo, que hubiera sido suficiente reducir los momentos de reunión o hacer más pruebas para evitar la rapidez del cotagio que golpeó a Italia, solo que nadie me escuchó. No querían saber (en esto, por desgracia, los italianos y los españoles son muy similares). Ahora, aquí también estamos a punto de tocar el pico de las infecciones y el miedo se está extendiendo. Solo en otra ocasión de mi vida sentí que no sabía exactamente de dónde venía el peligro. Fue en África. Excepto que las enfermedades que temía allí provenían principalmente de mosquitos, comida, agua, no personas. Y cuando finalmente me enfermé, el calor humano era mi mayor recurso. Los sentimientos que sentía por las personas que conocí allí me hicieron sentir invencible, tanto que decidí no decir nada a mi familia. Incluso hoy lo haría si me enfermara, pero esta vez no porque me sienta invencible. Solo porque más que el coronavirus me asusta la idea de que mis padres se sientan impotentes nuevamente ante mi enfermedad. Nunca vi el terror en los ojos de mi padre antes de enfermar de cáncer, incluso cuando él lloraba todos los días mientras yo estaba en África. Y nunca he visto a mi madre volverse tan pequeña. Y, de hecho, cuando me dijeron que tenían que operarme nuevamente, mentí y les dije que todo estaba bien. Y estoy lista para mentir nuevamente para protegerlos, solo que esta vez si sucede, no tendré niños a mi lado a quienes amo con todo mi corazón o amigos y compañeros de fé que estén dispuestos a renunciar a su tiempo para cuidarme. Y es por eso que te escribo. Porque entendí que la gravedad de este virus es que te priva de lo único que nos hace invencibles: el amor. Sin embargo, paradójicamente, es precisamente gracias a este virus que redescubrí el amor por mi gente y la estima, que durante demasiado tiempo creí que había perdido para siempre. Y también entendí que este virus es nuestro examen: ha llegado el momento de decidir qué Italia queremos ser. Decidir si queremos ser la Italia que evade los impuestos, aquella de los astutos, de los que en un momento de crisis elevan los precios de los bienes básicos, de los indiferentes, la Italia que cierra los puertos y las puertas a los que tienen necesidad. O si queremos ser la Italia que en tiempos difíciles recauda fondos para sus hospitales, ofrece servicios gratuitos y flores en las calles, canta conciertos en los balcones y hace las compras para los más débiles. Una Italia hermosa, pero realmente hermosa. Y tenemos que decidir en qué queremos centrarnos, qué queremos cultivar. Y es por eso que te escribo, como lo haría una chica que descubre después de mucho tiempo que todavía está enamorada de la persona que la había traicionado; y sabiendo que es la otra persona la que tiene que decidir si quiere comprometerse a cultivar la mejor parte de sí misma o no, esa chica solo puede decirle que está dispuesta a volver a confiar en ella.
Todavía estoy dispuesta a confiar en nosotros. ¿Y vosotros?

Quell’ultimo pezzo di speranza

Era rotto. Ormai non ne restavano che piccolissimi pezzi. Lo teneva insieme agli spiccioli e ai fazzoletti, nella tasca destra del cappotto. Ogni tanto ci infilava la mano per riscaldarla nei giorni più freddi o per prendere una moneta e quando distrattamente la tirava fuori, ne veniva sempre via qualche pezzetto. Ormai aveva seminato l’intera città di piccole briciole rosse.
Qualche volta le capitava di regalarle lei stessa a qualcuno che chiedeva l’elemosina per strada: quando tirava fuori una moneta, se qualche pezzo rimaneva attaccato non se ne curava più di tanto e lo lasciava cadere nel barattolo insieme ai soldi.
Non era disinteresse il suo ma rassegnazione. La prima volta che si ruppe i pezzi erano molto grandi e non faceva fatica a tenerli uniti. Dopo poco li aveva anche incollati assieme. Dalla seconda volta in poi, però, i pezzi diventarono sempre più piccoli e conservarli tutti sempre più difficile finchè dovette rassegnarsi all’idea che non potevano essere riattaccati. E così cominciarono a volar via nei giorni ventosi o a cadere per strada, quando per sbaglio li tirava fuori dalla tasca. All’inizio li rincorreva o si fermava a raccoglierli da terra ma, via via che passava il tempo, diventava sempre più pesante vivere la sua giornata facendovi attenzione. Arrivò così il giorno in cui le rimase un ultimo pezzetto. Decise di regalarlo ad un’anziana signora che le aveva chiesto aiuto per attraversare la strada. Quando le porse quell’ultimo pezzettino la donna lo guardò attentamente e sorrise. Dopo un pò le chiese con dolcezza che cosa ne fosse stato del resto e lei scoppiando in un pianto liberatorio le raccontò tutta la storia, dall’inizio. Lo aveva regalato ad un ragazzo affinchè se ne prendesse cura ma lui lo ruppe giocandoci con disinteresse, per poi chiedere scusa e promettere che non sarebbe successo mai più. Molte altre volte, invece, lo maneggiò con menefreghismo – rompendolo – finchè l’ultima volta stufo di tutti quei pezzi li buttò via. Lei li raccolse con pazienza e li tenne con sè per molto tempo, finché non smise di tenere i pezzi insieme a tutti i costi e li cominciò a perdere o a regalare. L’anziana la guardò con affetto, le accarezzò la mano, gliela fece aprire e poi poggiò il pezzetto rimasto nel suo palmo e le disse: “tieni questo pezzo e da oggi comincia a guardarti intorno, camminando per la città, e quando trovi altri pezzi raccoglili.  Presto arriverà la persona che ne vedrà il valore anche se è rotto. Non è la forma che conta ma la sostanza e il tuo cuore è fatto di gioie e sofferenze, sogni e rimpianti ma soprattutto di amore e c’è qualcuno la fuori che se lo merita”.

Dopo aver ascoltato la donna, si asciugò le lacrime e con tristezza rispose che la ricerca dei pezzi avrebbe richiesto troppo tempo ma l’anziana signora la interruppe subito: “Non ti preoccupare.” le disse. “Solo chi saprà aspettare con pazienza che tu ti ritrovi si merita davvero il tuo cuore”. Non appena ebbe finito di pronunciare queste parole, baciò la sua guancia ancora umida di lacrime e iniziò a camminare lentamente verso casa, lasciandola lì con gli occhi lucidi, il palmo aperto e quell’ultimo pezzo di speranza.

 

 


Estaba roto. Ahora solo quedaban piezas muy pequeñas. Lo mantenía junto con las monedas y los pañuelos, en el bolsillo derecho de su abrigo. De vez en cuando ponía en él su mano para calentarla en los días más fríos o para tomar una moneda, y cuando la sacaba distraídamente, siempre salían algunas piezas. Ya había sembrado toda la ciudad de pequeñas migajas rojas. A veces se las daba a alguien que pedía limosna en la calle: cuando sacaba una moneda, si quedaba alguna pieza pegada no le importaba mucho y la dejaba en el frasco con el dinero. No era desinterés sino resignación. La primera vez que se rompió, las piezas eran muy grandes y no tuvo problemas para mantenerlas juntas. Después de un tiempo también las pegó. Sin embargo, a partir de la segunda vez, las piezas se hicieron cada vez más pequeñas y se hizo cada vez más difícil hasta que tuvo que resignarse a la idea de que no se podrían volver a unir. Y así comenzaron a volar en días ventosos o a caer en la calle, cuando accidentalmente las sacaba de su bolsillo. Al principio las perseguía o se detenía para recogerlas del suelo pero, a medida que pasaba el tiempo, cada vez era más pesado vivir dedicándoles toda esa atención. Por fin, llegó el día en el cual se quedó con una última pieza. Decidió dársela a una anciana que le había pedido ayuda para cruzar la calle. Cuando le entregó la última pieza, la mujer la miró cuidadosamente y sonrió. Después de un rato, le preguntó gentilmente qué había sido del resto y ella estalló en un llanto liberador y le contó toda la historia desde el principio. Se lo había dado a un chico para que lo cuidara, pero él lo rompió jugando con desinterés, luego se disculpó y prometió que nunca volvería a suceder. Muchas otras veces, sin embargo, lo manejó descuidadamente, rompiéndolo, hasta que la última vez se cansó de todas esas piezas y las tiró al suelo. Entonces ella las recogió pacientemente y las guardó durante mucho tiempo, hasta que dejó de mantener las piezas juntas a toda costa y comenzó a perderlas o regalarlas. La anciana la miró cariñosamente, le acarició la mano, la hizo abrir y luego dejó la pieza en la palma de su mano diciendo: “quédate con esta pieza y desde hoy comienza a mirar a tu alrededor, caminando por la ciudad y cuando encuentres otras piezas recogelas. La persona que verá su valor llegará pronto, incluso si está roto. No es la forma lo que importa, sino la sustancia, y tu corazón está hecho de alegrías y dolores, sueños y arrepentimientos, pero sobre todo de amor, y hay alguien por ahí que lo merece”. Después de escuchar a la mujer, ella se secó las lágrimas y respondió con tristeza que la búsqueda de las piezas llevaría demasiado tiempo, pero la anciana la interrumpió de inmediato: “No te preocupes”, dijo. “Solo aquellos que pueden esperar pacientemente a que te encuentres realmente merecen tu corazón”. Tan pronto como terminó de decir estas palabras, besó su mejilla aún húmeda de lágrimas y comenzó a caminar lentamente hacia su casa, dejándola allí con los ojos vidriosos, la palma abierta y aquel último pedazo de esperanza.

 

 

Se ti amassi

Quando esci dal mio letto, lasci sparse per la stanza troppe domande.

I miei baci sarebbero più dolci se avessi le tue iniziali nel mio cuore?

E mi basterebbe guardarti negli occhi per fare l’amore?

Se fossi tu il ritornello per la mia canzone, smetterei di aver paura di cantare?

E cambierebbe il suono della mia voce nel pronunciare il tuo nome?

Cosa cambierebbe se ti amassi non lo so. So solo che mi piacerebbe scoprirlo. 

 


 

Cuando sales de mi cama, dejas muchas preguntas sembradas por toda la habitación.

¿Serían más dulces mis besos si tuviera tus iniciales en mi corazón?

¿Y sería suficiente mirarte a los ojos para hacer el amor?

Si fueras el estribillo de mi canción, ¿dejaría de tener miedo a cantar?

¿Y cambiaría el sonido de mi voz al pronunciar tu nombre?

Qué cambiaría si te amara no lo sé. Solo sé que me gustaría descubrirlo.

“Coming out of the closet”

Adoro i bambini e i bambini adorano me. Sono una educatrice e il mio sogno è amare i bambini e le bambine che non sono amati da nessuno, sento che tutto l’amore che posso riuscire a provare lo vorrei regalare a chi non ne ha. Ah! e non voglio fare un figlio. Voglio avere tanti figli e figlie, tutti quelli che umanamente mi sarà possibile amare ma non metterli al mondo. Sono una donna. Ho un utero e quindi posso procreare ma non voglio. Non è sempre stato così. O meglio era così fino a quando, in un momento indefinito fra l’infanzia e l’adolescenza la società mi ha stuprato il cervello e mi ha ingravidata con l’equazione donna=procreatrice. Mi ci è voluto un cancro per capire che non voglio essere una genitrice. Voglio essere solo una madre. Anzi, già lo sono. Non voglio mettere al mondo altre persone quando il mondo è già pieno di creaturine che hanno bisogno di me. La tipica frase detta da molte madri (tutte forse?) – prima di tutto viene mio figlio – mi fa paura. Attenzione, non mi fa paura che le mie sorelle provino questo per i loro figli; mi fa paura che un giorno io possa sentire una cosa del genere. “Prima di tutto viene MIO figlio”, e tutti gli altri figli che non sono di nessuno? Posso davvero riuscire a sentire che mi importi meno di loro? Mi terrorizza questa idea, la rifiuto. E rifiuto l’idea di partorire un altro essere umano. E mi sento giudicata (forse dovrei dire che sono giudicata). Mi sento una traditrice della patria (“in Italia c’è un tasso di fecondità bassissimo”), una ingrata (“con tutte le donne che non riescono a fare figli!”), una data di scadenza (“vedrai che quando l’orologio biologico inizierà a ticchettare ti passeranno tutte queste strambe idee”). Mi sento in tanti modi, quando l’unica cosa che vorrei sentire è che non c’è un percorso giusto e uno sbagliato e che ho il diritto di fare del mio corpo (e del mio cuore) quello che voglio. Ancora non ci sono arrivata completamente ma ho fatto grandi passi in avanti, come ammettere che non voglio fare un figlio. Prima di tutto ammetterlo con me stessa e poi con le persone a me care e ora anche il coming out ufficiale sul mio blog. Arriverà il giorno in cui non mi sentirò più sbagliata per questo e quel giorno, ne sono certa, non avrò neanche bisogno di scriverlo. Fino a quel momento, come sempre, ci penso e vi faccio sapere.

Una vez al mes, como la regla

 

Dos días al mes. Por lo general no más de dos, pero a veces incluso cuatro son los días en que me limpio los ojos y el corazón, llorando todo lo que no puedo llorar durante el resto del tiempo. Siempre ocurre con cierta regularidad, como por la regla o las fases lunares. Necesito hacerlo. Es como si por cada noticia, imagen, recuerdo del sufrimiento del mundo se formara un pequeño nudo dentro de la garganta, que crece un poco más cada día hasta que llega el momento en que tengo que vomitarlo, gritando y llorando. Siempre ha sido así, desde el primer momento que tengo recuerdos de mí. Solo que pronto aprendí que la empatía, la sensibilidad eran algo de lo que avergonzarse, como la menstruación. Y así, durante años me consideré frágil, una débil, me daba vergüenza sentir tanto el dolor de los demás hasta hacerlo mío. Y por eso también me enfermé.

Hoy, sin embargo, cuando llega el momento en que tengo que limpiar el alma del dolor, lo acojo como parte de la vida, como una forma de honrar a los seres vivos que han sufrido o muerto. Y es también mi forma de pedir perdón, por no haber encontrado aún la forma más efectiva de crear el mundo que quería para ellos.

 


Due giorni al mese. Di solito non più di due ma certe volte anche quattro sono i giorni in cui mi pulisco gli occhi e il cuore, piangendo tutto quello che non posso piangere durante il resto del tempo. Avviene sempre con una certa regolarità, come per il ciclo o le fasi lunari. Ho bisogno di farlo. E’ come se ad ogni notizia, immagine, ricordo della sofferenza del mondo si formasse un piccolo nodo dentro la gola, che cresce ogni giorno un po’ di più finchè arriva il momento in cui lo devo vomitare fuori, gridando e piangendo. E’ così da sempre, dal primo momento in cui ho memoria di me. Solo che presto ho imparato che l’empatia, la sensibilità sono qualcosa di cui vergognarsi, come delle mestruazioni del resto. E così per anni mi sono considerata fragile, una debole, mi sono vergognata di sentire così tanto il dolore degli altri da farlo mio. E mi sono ammalata anche per questo. 

Oggi, invece, quando arriva il momento in cui devo ripulire l’anima dal dolore,  lo accolgo come parte della vita, come un modo per onorare gli esseri viventi che hanno sofferto o sono morti. E anche il mio modo per chiedere perdono, per non avere ancora trovato il modo più efficace per creare il mondo che avrei voluto per loro. 

Cosas sin decir

Me encanta adentrarme en aquellos mundos dormidos que me esperan cada vez que cierro los ojos. Y aún más estando abrazada a ti, con tu aliento sobre mi piel y tus dedos rebuscando en mis rincones.

La tentazione di cadere

Quando ho cominciato a lanciarmi con il paracadute, ho scoperto che la vertigine non è il terrore di cadere, al contrario è la paura che il vuoto sotto di te ti attragga. Una volta che non c’è più la vertigine a proteggerti dalla voglia di buttarti, dell’abisso rimane solo la tentazione di perdercisi dentro. A quel tempo però non avevo ancora capito che esistono diversi tipi di abisso in cui puoi desiderare di precipitare.

Cuando empezé a saltar con elparacaídas, descubrí que el vértigo no es el terror de caer, por el contrario, es el temor de que el vacío debajo de ti te atraiga. Una vez que no tienes más vértigo para protegerte del deseo de lanzarte, solo queda la tentación de perderte en él. Sin embargo, en aquel momento todavía no me había dado cuenta de que hay diferentes tipos de abismo en los que es posible desear caer.

Le cose che fanno più male sono quelle che non sono mai accadute e quelle che non accadranno mai.

Ci sto provando. Giuro. Tutti i giorni provo a vivere la mia vita come se niente fosse. Mi alzo, mi vesto, mangio. Studio e cerco lavoro. Esco con gli amici. Ci sto provando a vivere, davvero. Ma non è la vita che voglio. Sto fingendo che mi vada bene. In realtà non voglio avere tutto se ci sono persone che non hanno nulla. Non voglio sposarmi e avere dei figli se c’è chi non ha il diritto di fare lo stesso. Non voglio andare al mare a prendere il sole se c’è chi ci muore annegato dentro.

L’incoerenza fra quello che vivo e quello che sento è sempre presente, come un costante stridio dentro la mia testa e nel mio cuore.

E’ davvero così strano per voi, che io mi senta diminuita di ogni morte? Che senta un dolore lancinante per ogni bambino maltrattato o abbandonato, per ogni donna stuprata, per ogni migrante annegato in mare? Certe volte mi sento come una morta che cammina. E’ talmente profonda la disperazione che a malapena riesco a mangiare e persino  a respirare.

Ho sempre creduto di avere qualcosa che non va per questa empatia così pervasiva, penetrante, che più di una volta mi ha quasi ucciso. Ho pensato di avere una depressione cronica o qualche malattia psichica. Per molto tempo, ho creduto di essere “danneggiata” in qualche modo. Ma ora mi chiedo: e se non fossi io la strana, la pazza, la ipersensibile?  Se non fossi io quella rotta dentro?

E se io fossi quella “normale”? Se gli esseri umani naturalmente dovessero essere empatici fino a sentirsi parte di un tutto, come mi sento io?

Non so darmi una risposta. Forse neanche mi importa darmene una. Quello che so è che io non ci sto più. Da oggi smetto di fingere di desiderare una vita come le altre. Non me ne fotte un fico secco di “sistemarmi”, fare dei figli, avere un buon lavoro e condurre una vita “normale”. L’unica cosa che voglio davvero è lottare per il mondo che voglio e che mi merito. E adesso devo capire come fare. Stavolta sul serio, senza pressioni sociali e culturali su ciò che dovrei o non dovrei desiderare.

Con l’infinito dentro

27336616_10155184495171892_6597457081132638819_n

La enfermedad me quitó la fuerza física, me privó de mi tiempo y de mi ritmo frenético. Se impuso sobre mi alma y mi cuerpo, obligándome a ser tocada, cortada, abierta y cosida por manos desconocidas. Me erosionó lentamente, borrando lo que era. Y ahora estoy aquí, obligada a reconstruirme, a reinventarme, a darme nuevos ritmos. Ahora tengo que dedicarme tiempo y darme espacio aunque todavía no sepa cómo hacerlo. Poco a poco empiezo a reevaluar mis elecciones, a reconsiderar lo que creía importante. La enfermedad te quita tanto que te obliga a apreciar lo que queda: deseos, pasiones, sentimientos, amistades. Y luego, cava un vacío en tus días para que tú veas los demonios de los cuales escapaste toda tu vida, primero entre todos el miedo a vivir.

Frente a monstruos tan grandes, lo único que puedes hacer es luchar o dejarte llevar, pero no puedes decidir qué hacer una vez por todas. No, no es una elección de un instante, sino una elección de cada momento, de cada día. Ese es el verdadero desafío: relanzar continuamente contra cada duda, cada miedo, cada sombra que serpentea en tu mente. Contra esa vocecita que te dice como nunca serás de nuevo sana, más fuerte, más enérgica, y que te hace temblar con cada punzada de dolor, gritando esas malditas cuatro palabras: “será así para siempre”.

Luchas o mueres, pero no de cáncer… de miedo.

Lo único que puedes hacer contra el miedo es soñar. Y así sueño. Sueño con todo mi corazón y todo mi cuerpo. Sueño con una Elisabeth fuerte y libre, que corre de nuevo, que viaja por todas partes, que se sienta en el suelo con sus niños en un campamento de refugiados o en una aldea perdida en una selva, tal como era antes.

Sueño con una Elisabeth que se ama y ama el mundo. Una Elisabeth con el infinito dentro de sí. La sueño y la pinto.

Volver a soñar es mi primera ACCIÓN…


La malattia mi ha tolto le forze fisiche, mi ha privato del mio tempo e dei miei ritmi frenetici. Si è imposta sulla mia anima e sul mio corpo, costringendomi a essere toccata, tagliata, aperta e ricucita da mani sconosciute. Mi ha erosa piano piano, cancellando quella che ero.

E ora sono qui, costretta a ricostruirmi, a reinventarmi, a concedermi ritmi nuovi. Adesso devo dedicarmi tempo e darmi spazio anche se non so ancora come si fa. Inizio piano piano a rivalutare le mie scelte, a riconsiderare ciò che credevo importante. La malattia ti toglie così tanto che ti costringe ad apprezzare quello che resta: i desideri, le passioni, i sentimenti, le amiche vere, la pratica. E poi scava il vuoto nelle tue giornate per farti vedere i demoni da cui sei scappata tutta la vita, prima fra tutte la paura di vivere.

Davanti a mostri così grandi l’unica cosa che puoi fare è lottare o lasciarti andare, ma  non puoi decidere cosa fare una volta per tutte. No, non è una scelta di un istante, ma una scelta di ogni istante, di ogni giorno. E’ quella la vera sfida: rilanciare in continuazione contro ogni dubbio, ogni timore, ogni ombra che serpeggia nella tua mente. Contro quella vocina che ti racconta come non sarai mai più sana, forte, veloce, energica, e che ti fa tremare ad ogni fitta di dolore, sibilandoti quelle maledette quattro parole: “sarà così per sempre”.

Lottare o morire, ma non di cancro. Di paura.

Contro la paura l’unica cosa che puoi fare è sognare. E così sogno. Sogno con tutto il cuore e con tutto il corpo. Sogno una Elisabeth forte e libera, che corre di nuovo, che viaggia in lungo e in largo, che si siede a terra con i suoi bambini in un campo profughi o in un villaggio sperduto nella foresta, proprio come una volta. Sogno una Elisabeth che si ama e che ama il mondo. Una Elisabeth con l’infinito dentro.

La sogno e la dipingo.

Tornare a sognare è la mia prima azione…

 

 

 

Dedicato

Esto es para aquellos que no han conseguido lo que quieren, pero nunca lo dejan de intentar.
Para aquellos que sienten demasiado o demasiado poco.
Para los que tienen miedo al miedo.
Para los que se miran dentro y viendo el vacío intentan encontrar su significado.
Esto es para aquellos que buscan el equilibrio entre el blanco y el negro.
Para los que se aman amando y
para aquellas personas que no pueden dejar de amar a los demás más que a ellas mismas.
Para aquellos que sueñan con hacer sueños que nunca soñaron.
Para los que siempre dan, aunque no tengan nada.
Para aquellos que encuentran el coraje solo para animar a los demás.
Esto es para aquellos que te hacen sentir “en casa”, incluso sin tenerla. Y para aquellos que en ningún lugar se sintieron en casa.
Esto es para aquellas personas que bailan ligeras aunque estén cargadas de recuerdos dolorosos.
Para aquellos que vivieron en la oscuridad y ahora son un faro.
Para aquellos cuyos corazones están llenos de grietas.
Y para aquellos que esas grietas las llenan de amor.
Esto es para aquellos que resisten. Para los que flaquean.
Para los que corren para no pensar.
Para los que van siempre hacia delante para no volver atrás.
Y para aquellos que vuelven atrás para entender y perdonar.
Esto es para aquellos que lo intentan para aprender.
Para aquellos que escriben para ganarse la vida y para aquellos que viven para escribir.
Para aquellos que tienen fe en sí mismos, incluso cuando creen no tenerla.
Para aquellos que quieren cambiar el mundo cambiándose ellos mismos.
Estas palabras son un “gracias” para vosotros, para que os veáis a través de mis ojos. 


Questa e’ per chi non riesce mai
ma non smette di tentare.
Per quelli che sentono troppo o troppo poco.
Per chi ha paura della paura.
Per chi si guarda dentro, vedendo il vuoto
e scava fra i ricordi per trovarne il senso.
Questa è per quelli che cercano l’equilibrio
fra il bianco e il nero.
E’ per chi si ama ad amare e
per chi non riesce a non amare gli altri più di se stesso.
Questa è per chi sogna sogni che non ha mai fatto.
Per chi si butta in acqua per non annegare.
Per chi non si risparmia mai, anche se non ha niente.
Questa è per chi è “casa” anche senza averla mai avuta. 
E per chi a casa non si è mai sentito.
Per chi trova il coraggio per incoraggiare gli altri.
Per quelli che cantano senza saperlo fare
e per quelli che suonano note che non conoscono.
Per chi balla con leggerezza nonostante il peso dei ricordi. 
Per chi viveva al buio e adesso è un faro.
Per chi ha il cuore pieno di solchi
e per chi quei solchi li riempie di amore.
Questa è per chi resiste. Per chi arranca.
Per quelli che vanno avanti per non tornare indietro
e per chi torna indietro per capire e perdonare.
Per chi corre per non pensare.
Questa è per chi prova per imparare.
Per chi scrive per vivere e per chi vive per scrivere.
Per chi ha fede in se stesso anche se non lo sa.
Per chi vuole cambiare il mondo, cambiando se stesso.
Questa è per me, per dirmi “mi amo”.
Questa è per te, per vederti con i miei occhi.
Questa è per voi, per ringraziarvi di essere il mio scoglio.

 

Dito medio

Sono arrabbiata. Anzi no, sono incazzata nera. E sono felice di esserlo, perché la rabbia è la mia migliore amica.

È il salvagente che mi permette di non annegare nel dolore per i miei fratelli, morti a migliaia nel mio mare sotto gli occhi indifferenti di coloro che dovrei sentire carne della mia carne e che, invece, sono solo stranieri nel mio cuore.

La rabbia è l’unica arma che ho per sopravvive in Italia, il mio Paese in guerra, bombardato d’odio. Un Paese dove chi accoglie viene arrestato e chi lascia morire governa; dove chi è fascista esercita una libertà di opinione e chi ama una persona dello stesso sesso non ha nemmeno il diritto alla famiglia.

In nome di tutte le persone morte in mare, di tutte le donne violentate e uccise a causa di una cultura patriarcale e maschilista, in nome di tutti gli amori ostacolati e di tutti i principi violati, io rivendico il mio diritto alla rabbia e alla disobbedienza.

Rivolta contro l’ingiustizia, la rabbia è un potente motore verso il cambiamento. Quindi da ora in poi, chi cercherà di zittirmi riproverandomi di essere arrabbiata, non farà altro che motivarmi ancora di più.

Ed è a costoro, che con questo post rivolgo un combattivo e rabbioso dito medio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Con gli occhi di un poeta..

20150603_220523[1]

Siempre he querido saber dibujar. Si supiera hacerlo, pintaría esos lugares de paz y colores que sueño y contaría, entre miles de matices, la alegría de las pequeñas cosas y todo lo que el dolor me ha enseñado.

Siempre he querido saber cantar. Si pudiera convertir en voz el amor que siento por mi trabajo, por los niños y por la educación, no necesitaría escribir un currículum. Bastaría con cantar en las entrevistas.

Siempre he querido saber tocar todos los instrumentos. Si pudiera reescribir mi vida en notas, podría cubrir con el sonido el silencio de aquel vacío que llena mi vida.

Siempre he querido saber cómo usar las palabras correctas. Palabras que gritan, capaces de despertar las conciencias. Palabras afiladas como cuchillos, para herir a los que ahora son inmunes al dolor de los demás. Si solo pudiera describir con precisión el agujero que siento en mi pecho cada vez que veo sufrir a un niño y la impotencia que me quita el aliento frente a la injusticia, la palabra “insensible” desaparecería de los vocabularios del mundo.

Siempre he querido el alma de un artista. Si pudiera ver el mundo a través de los ojos de un poeta, podría imaginar los sueños que sirven para cambiarlo.


Ho sempre desiderato saper disegnare. Se sapessi come fare, dipingerei quei luoghi di pace e di colori che sogno e racconterei, fra mille sfumature, la gioia delle piccole cose e tutto quello che le sofferenze mi hanno insegnato.

Ho sempre desiderato saper cantare. Se potessi trasformare in voce l’amore che provo per il mio lavoro, per i bambini e per l’educazione, non avrei bisogno di scrivere un curriculum. Mi basterebbe cantare ai colloqui.

Ho sempre desiderato saper suonare tutti gli strumenti. Se potessi riscrivere in note la mia vita, riuscirei a coprire, con il suono, il silenzio di quel vuoto di cui la mia vita è piena.

Ho sempre desiderato saper usare le parole giuste. Parole che urlano, capaci di risvegliare le coscienze. Parole affilate come coltelli, per  ferire chi è ormai immune al dolore degli altri. Se solo sapessi descrivere con esattezza  il buco che sento nel petto ogni volta che vedo un bambino soffrire e l’impotenza che mi toglie il respiro di fronte alle ingiustizie, la parola “insensibile”  scomparirebbe dai vocabolari del mondo.

Ho sempre desiderato un’anima da artista. Se potessi vedere il mondo con gli occhi di un poeta, riuscirei a immaginare i sogni che servono a cambiarlo.

26 marzo 2014

Oración informal/Preghiera informale

Querido Universo (o Ley Mística / Dios / Alá / campo de energía / fuerza vital / etc.) por favor, escúchame.

Quiero un trabajo pero no sé cómo ni dónde. Confío en ti para la elección, solo permíteme poner mis habilidades al servicio de quién más lo necesite.

Quiero también una familia. Incluso en este caso no tengo preferencia: un compañero o una compañera (o ambos), hijos adoptivos o no, hazlo un poco como quieres. Solo te pido que me uses para dar amor a los que no son amados, esperanza a los que se sienten impotentes y confianza a los que se sienten inútiles.

Para terminar, quiero un último favor: la paz en el mundo. Sobre como y cuando realizarla, sabrás tú –  mucho mejor que yo – qué hacer, pero dame la fuerza para luchar contra la injusticia y la compasión para perdonar a los que siembran el odio. Y ya que estás ahí, dame el coraje para iluminar mi oscuridad y la sabiduría para entender como ser el cambio que quiero ver en el mundo.

No te he pedido demasiado, ¿qué te parece?

Mientras tanto, te lo agradezco de antemano y muchos saludos.

Amén


Caro Universo (o Legge Mistica/Dio/Allah/campo energetico/forza vitale/ecc.) ti prego, ascoltami.

Voglio un lavoro ma non so né come, né dove. Mi affido a te per la scelta, permettimi solo di mettere le mie capacità a servizio di chi ne ha più bisogno.

Voglio anche una famiglia. Anche in questo caso non ho preferenze: un compagno o una compagna (o entrambi), figli adottivi o no, fai un po’ te. Ti chiedo solo di usarmi per dare amore a chi non è amato, speranza a chi si sente impotente e fiducia a chi si sente inutile.

Infine, voglio un ultimo piccolissimo favore: la pace nel mondo. Sui tempi e i modi saprai tu – molto meglio di me – cosa fare, però dammi la forza per lottare contro le ingiustizie e la compassione per perdonare chi semina odio. E visto che ci sei, dammi anche il coraggio per illuminare la mia oscurità e la saggezza per capire come essere il cambiamento che voglio vedere nel mondo.

Non mi sembra di chiedere troppo, che ne pensi?

Intanto ti rinfrazio anticipatamente e tanti cari saluti.

Amen.

web stats

 

Il ricordo di te

Tu memoria me acompaña de la mano todos los días y me coge al vuelo cuando estoy a punto de caerme.

Me reconforta cuando el mundo me duele y me despoja de mis miedos. Antes de tocarte no sabía que los abrazos podrían ser una tirita para el alma.

Tu memoria me tensa como una cuerda de violín, cada vez que me acaricia.

Convierte mi cuerpo en un refugio. Antes de amarte apretándote entre mis muslos, no sabía que tenía un atajo a mi corazón entre mis piernas.

Tu memoria me canta canciones de cuna para dormir y luego les hace cosquillas a mis sueños.

Abre un agujero dentro de mí. Antes de saborearte, no sabía que las noches podían ser  tan hambrientas.

Tu memoria me despierta por la mañana, dejándome vivir en un sueño eterno.


Il tuo ricordo mi accompagna per mano ogni giorno e mi prende al volo quando sto per cadere. 

Mi consola quando il mondo mi fa male e mi spoglia delle mie paure. Prima di toccarti non sapevo che gli abbracci potessero essere un cerotto per l’anima.

Il tuo ricordo mi tende come una corda di violino, ogni volta che mi sfiora.

Trasforma il mio corpo in un rifugio. Prima di amarti stretto fra le mie cosce, ignoravo di avere una scorciatoia per il cuore in mezzo alle gambe.

Il tuo ricordo mi canta ninne nanne per farmi addormentare e poi mi solletica i sogni.

Apre una voragine dentro di me. Prima di assaggiarti, non sapevo che le notti potessero essere così affamate.

Il tuo ricordo mi sveglia la mattina, lasciandomi vivere in un sogno eterno.

Un’altra prima volta

Hai trovato le mie impronte nel tuo cuore e le hai seguite fino a quella lunga notte di sospiri, anche se era troppo tardi per regalarci l’amore.

Io ti aspettavo e avrei voluto chiedere agli orologi di non raccontare più il tempo e alla Luna di lottare contro il Sole, ma non sapevo come fare.

Imparerò.

Per te studierò la lingua delle lancette e degli astri per chiedere ai secondi di maturare velocemente in giorni e convincere ogni domani a iniziare un giorno prima.

Così arriverò in anticipo alla nostra seconda prima volta e chiederò al tempo di riposare, lentamente, dentro l’istante in cui esploderai d’amore fra le mie gambe.

Web Analytics

Encontraste mis huellas en tu corazón y las seguiste hasta esa larga noche de suspiros, aunque ya era demasiado tarde para regalarnos amor.

Te estaba esperando y me hubiera gustado pedirles a los relojes que no hablaran más sobre el tiempo, y a la Luna que luchara contra el Sol, pero no sabía cómo hacerlo.

Lo aprenderé.

Por ti estudiaré el lenguaje de las manecillas del reloj y de las estrellas para pedir a los segundos que maduren rápidamente en días y para convencer a cada mañana de que  empiece un día antes.

Así llegaré por anticipado a nuestra segunda primera vez y pediré al tiempo descansar, lentamente, dentro del instante en que explotarás de amor entre mis muslos.

Bisbigli del cuore

La tua memoria ha le scarpe da corsa sempre ai piedi, così può scappare in fretta quando arriva la paura. Ma durante la notte, ho tolto i lacci e li ho usati per legarti addosso il mio ricordo: “cercami quando lui dorme” – ha sussurrato il mio cuore al tuo prima di andare via – “mi troverai nei sogni che non ha ancora osato fare”.


Tu memoria tiene zapatillas para correr siempre puestas, para que así pueda escapar cuando llega el miedo. Pero durante la noche, les quité los cordones y los usé para atarte encima mi memoria: “búscame cuando él duerma”, le susurró mi corazón al tuyo antes de irse, “me encontrarás en sueños que aún él no se ha atrevido a hacer”.

Pacchia

Screenshot_20181225-173128_1.jpgCredo che in alcune circostanze sia facile capire se una persona ha una coscienza o non ce l’ha; proprio come sarebbe facile capire l’enorme differenza che c’è  fra una persona che soffre di fronte allo sgomento di questa donna e un’altra che continua ad utilizzare il termine “pacchia” per definire l’incubo che questa foto racconta.

Web
Analytics Made Easy - StatCounter

Buon (primo) anno nuovo

Espero que el 2019 sea un buen año, uno de esos que marcan la brecha entre cómo eres y cómo serás: el año en el que finalmente conocerás la mejor versión de ti.

Sé que no puedo esperar que nunca caigas, pero puedo desearte la fuerza para levantarte después de cada caída. Ni siquiera podré evitar que alguien te lastime y por esto le pediré al Universo que te dé el coraje de perdonar a los que lo harán.

Que este año te traiga la sabiduría para aceptar que has perdido tanto y la alegría de reencontrar solo lo que es realmente importante.

Te deseo proyectos llenos de futuro y la pasión para llevarlos adelante; que este 2019 sea el año sin el “no lo lograré” y, sobre todo, sin el “seré feliz cuando.. “.

Te deseo un año lleno de sueños y experiencias gratificantes.

Te deseo un año de iluminaciones y milagros, un año en el que vivir como si tus oraciones ya hubieran recibido una respuesta.

También te deseo que creas en un mundo lleno de posibilidades y en una sociedad que todavía está a tiempo de cambiar de rumbo.

Y, más que nada, te deseo que decidas que el 2019 sea el primer año verdaderamente nuevo, el primero de una vida larga y maravillosa.

 


Ti auguro che il 2019 sia un buon anno, uno di quelli che segnano lo spartiacque fra come sei e come sarai: l’anno in cui conoscerai finalmente la migliore versione di te.

So che non posso sperare che tu non cada mai, ma posso augurarti la forza per rialzarti ad ogni caduta. Non potrò nemmeno evitare che qualcuno ti ferisca e per questo pregherò l’Universo di darti il coraggio di perdonare chi lo farà.

Che quest’anno ti porti la saggezza per accettare che hai perso tanto e la gioia di ritrovare solo quello è veramente importante.

Ti auguro progetti pieni di futuro e la passione per portarli avanti; che il 2019 sia l’anno senza i “non ce la farò” e soprattutto senza i “sarò felice quando”.
Ti auguro un anno ricco di sogni a occhi aperti e di esperienze gratificanti.

Desidero per te un anno di illuminazioni e di miracoli, un anno in cui vivrai come se le tue preghiere avessero già ottenuto una risposta.

Ti auguro anche di credere in un mondo pieno di possibilità e in una società che è ancora in tempo per cambiare rotta.

E più di ogni altra cosa, ti auguro di decidere che il 2019 sia il primo anno veramente nuovo, il primo di una lunga vita meravigliosa.

website statistics

 

La prima possibilità

Vorrei sapere chi ha detto che tutti si meritano una seconda possibilità. E soprattutto vorrei sapere perché? sulla base di quali evidenze empiriche?
In 33 anni di esperimenti, non c’è stata una solo volta in cui io non mi sia pentita – e anche amaramente – di aver dato una seconda possibilità. Per non parlare poi, del fatto che esistono anche persone meravigliose che non ne hanno mai avuto bisogno, che hanno centrato il bersaglio al primo colpo.

Quindi penso proprio che da ora in poi questo è quello che dirò ad ogni nuova persona che entrerà nella mia vita:
“Benvenuta nel mio mondo! Se saprai accogliere ciò che ho da darti, e apprezzarlo, non smetterò mai di farlo. Ma questa è la tua prima e unica possibilità. Giocatela bene. Io sono come un tramonto incredibilmente colorato e mozzafiato, ma se tieni gli occhi chiusi mi dispiace, te lo sei perso”.

Cinque cose che ho capito in cinque mesi

Tutto nella vita ti nutre o ti insegna qualcosa. Tutto. Anche quello che fa male.

La mia ultima dolorosa sconfitta nel campo di battaglia più spietato (ovvero l’amore… ebbene si, non è la malattia, credetemi!),  non fa eccezione.

In poco meno di cinque splendidi e complicati mesi, ho capito alcune verità che spero di tramandare alle mie figlie.

Primo: ho capito che certe volte il principe azzurro esiste per davvero, ma anche lui ha i suoi BEI DEMONI come tutti!

Secondo: ho capito che anche se dai il massimo e ti impegni al 100% non è detto che questo sforzo venga apprezzato o venga eguagliato dallo sforzo dell’altra persona. Sei tu che devi apprezzarlo e sei tu che devi trasformarlo in qualcosa di prezioso per il tuo percorso di crescita.

Terzo: ho capito che molto spesso iniziare una relazione con un uomo è come presentare il tuo curriculum alla Coop: se sei “troppo qualificata” devi mentire e tendere al ribasso. Ma solo se vuoi accontentarti, se no fai come me e resta single. O cercati una donna.

Quarto: ho capito che in moltissimi casi quello che gli altri fanno non ha nulla a che vedere con te, ma con loro stessi. Non prenderla sul personale, come dice il mio amico Ste.

Quinto: ho capito che quando i tuoi bisogni non vengono mai ascoltati né dalle persone a te care né da te stessa, ti può capitare di ammalarti per farti ascoltare e ascoltarti.

Ed è quello che successo a me, però ho anche capito che non voglio mai più che sia una malattia a rendermi visibile a qualcuno a cui voglio bene, e affinché quel qualcuno pensi che è arrivato il momento di mettermi al giusto posto nella sua vita, senza darmi per scontata.

Ho capito che non voglio essere urgente, voglio essere importante!

Web Analytics Made Easy - StatCounter

Quel cammino tra l’inizio e la fine. Di nuovo.

Non mi piacciono gli addii, i finali e i “vissero felici e contenti”. Non amo neanche i nuovi inizi, i cambiamenti o le grandi rivoluzioni.

Mi piace cosa sta in mezzo. Il cammino tra l’inizio e la fine. Adoro la quotidianità, la routine. Il sentirmi a casa. Mi interessa più il processo che il risultato.

Ho sempre fatto il salto quando era necessario buttarsi. Spicco il volo ogni volta che serve ma non vedo l’ora di atterrare e tenere di nuovo i piedi ben piantati per terra. Le trasformazioni mi spaventano. Mi terrorizza quello che non conosco. Eppure non mi sono mai tirata indietro.

In trentun anni ho vissuto in otto città, in quattro nazioni di tre continenti diversi. Ho fatto dieci traslochi. Ho cambiato facoltà due volte. Lavoro otto. Ho avuto diversi fidanzati e fidanzate. Ho convissuto per sei anni e ho scampato il matrimonio per un pelo. Mi sono buttata con il paracadute da quindici mila piedi e sono rotolata da una collina, dentro una palla di gomma. Ho visitato quasi venti paesi e ho assaggiato ventitré tipi di cucina diversi. Sono stata cristiana per quattordici anni, agnostica per dieci e sono buddista da sette. Ho imparato tre lingue diverse dalla mia e ho iniziato a studiare canto e chitarra a trentun anni.

Ho fatto e cambiato così tante cose che mi sembra di aver vissuto mille vite. Chi mi conosce non può credere che io abbia paura dell’ignoto; che anche io abbia difficoltà a lasciare la mia zona di comfort. Eppure è proprio così. Ma allora perché sono riuscita a fare tutto quello che ho fatto? Perché ho abbandonato le mie certezze e sono riuscita a vincere la paura di perdere tutto? La paura di sbagliare, di cambiare, di stare da sola?

La verità è che ho avuto un unico vantaggio nella mia vita. Un unico espediente che mi ha portato ad uscire dal guscio protettivo dell’abitudine e della familiarità: la sofferenza.

Si, è stata la grande sofferenza che ho provato fin da piccola a spingermi alla ricerca continua di me stessa. Il vuoto che ho nel petto da quando ho memoria di me è stato il motore più potente della mia rivoluzione umana e lo è tutt’ora.

La depressione di cui ho sofferto in adolescenza è stata la mia via d’uscita da un percorso già scritto per me, dalla società in cui ero cresciuta: un diploma, forse una laurea – giusto per poterla sfoggiare con i compaesani – e certamente un lavoro vicino casa fino al matrimonio con il primo amore, coronato da una o più gravidanze. Questo era il futuro che mi aspettavo. Che tutti si aspettavano da me. Il futuro che credevo di volere. Ma la vita aveva altro in serbo per me.

Solo che è difficile abbandonare le aspettative, i sogni da bambina e tutto ciò che ci è familiare. E’ dura percorrere strade non asfaltate, spesso piene di dossi e pericoli. Scegliere il cammino più difficile non è semplice. Allora, proprio come una madre compassionevole sgrida il figlio quando sbaglia, la vita mi ha dato una bella spinta. Una nuova partenza, azzerando tutto. Si perché come dice una mia cara amica, la depressione è uno zero dell’anima. O di sicuro lo è stato per me.

Da quello zero ho ricostruito tutto. Ho ricostruito me stessa, i miei sogni e il mio cammino. E per farlo ho dovuto fare il mio primo salto nel vuoto, nel mio personale buco nero. Il primo viaggio è stato il più importante: quello alla ricerca di me stessa, per guardarmi dentro e guardare in faccia il mio dolore.

Vorrei poter dire che da allora il cammino è stato in discesa, ma non è così. Ad ogni nuova partenza o sfida che mi si presenti, la paura torna sempre. Il disagio, la mancanza di equilibrio sono i miei primi compagni di viaggio. E quando la resistenza al cambiamento è troppo forte, la vita torna con i suoi scossoni compassionevoli.

E’ una lotta. Eterna. E decisamente impegnativa. Ma realizzabile. E con tempi di ripresa sempre più rapidi, con soddisfazioni sempre più grandi e passi sempre più lunghi. Adesso, ogni volta che si presenta una novità o un ostacolo che mi costringe ad uscire dal mio guscio sicuro, l’accolgo come l’ennesima opportunità che la vita mi sta dando per aprirmi al mondo, per migliorarmi e superare i miei limiti.

E infatti miglioro, supero i limiti e allargo la zona di comfort. Affronto tutto con coraggio e poi torno a casa, a godermi ciò che sta tra la fine di un’avventura e l’inizio della successiva: un buon libro sul divano e una tazza di cioccolata!


Da quando ho scritto questo post (27 novembre 2016) sono passati quasi due anni, un’incredibile esperienza nei campi profughi in Libano, tre relazioni, un cancro, due operazioni, la radio e tantissimo lavoro sia professionale che interiore. Eppure ancora una volta mi trovo a dover ricominciare tutto da capo: affrontare di nuovo la malattia, in un’altra città di un altro Paese, con un lavoro diverso e senza la persona che in teoria era il mio compagno.

Di nuovo la lotta, di nuovo la paura. E se anche una parte di me sa che vincerò – come sempre-, il più grande sforzo consiste nel cercare di ignorare quella vocina che striscia come un serpente fra i pensieri e le cose da fare, sussurrando “questa volta non ce la farai!”. E allora rileggo di tutte le volte che ho combattuto per la mia felicità, con le unghie e con i denti, anche quando non ci credevo, anche quando ero stesa su un letto paralizzata dal dolore, anche quando credevo di aver perso l’amore o peggio quando credevo di non meritarlo. E così scopro che questo blog non serve per condividere le mie lotte con gli altri, per incoraggiare le mie amiche o per farle ridere. Non solo. Serve soprattutto a me stessa. Un inno alla forza, per ricordarmi chi sono.

Io sono una vincitrice.

E anche questa volta prenderò questa sofferenza e ne farò un capolavoro.

Web Analytics Made Easy - StatCounter


No me gustan las despedidas, los finales y “vivieron felices para siempre”. Ni siquiera me gustan los nuevos comienzos, los cambios o las grandes revoluciones. Me gusta lo que está en medio. El camino entre el principio y el final. Amo la vida cotidiana, la rutina. Sentirse como en casa. Estoy más interesada en el proceso que en el resultado. Siempre he saltado cuando era necesario saltar. Me echo a volar cuando es necesario, pero no puedo esperar para aterrizar y mantener mis pies firmemente plantados en el suelo nuevamente. Las transformaciones me asustan. Me asusta lo que no sé. Sin embargo, nunca me eché atrás. En treinta y cuatro años viví en nueve ciudades, en cinco países de cuatro continentes diferentes. Hice trece mudanzas. He cambiado el curso de mis estudios de universidad dos veces. 10 veces el trabajo. Tuve varios novios y novias. Viví con una pareja durante seis años y me escapé por un pelo de la boda. Me lancé con el paracaídas desde quince mil pies y rodé desde una colina dentro una pelota de goma. Visité más de veinte países y probé veintitrés tipos diferentes de cocina. Fui cristiana por catorce años, agnóstica por nueve y soy budista desde diez. Aprendí tres idiomas más y comencé a estudiar canto y guitarra a los treinta años. He hecho y cambiado tantas cosas que siento que he vivido mil vidas. Los que me conocen no pueden creer que tengo miedo de lo desconocido; Que también me cuesta salir de mi zona de confort. Y, sin embargo, es realmente así. Pero entonces, ¿por qué he logrado hacer todo lo que hice? ¿Por qué abandoné mis certezas y logré superar el miedo a perder todo? ¿El miedo a cometer errores, a cambiar, a estar sola? La verdad es que tenía una ventaja en mi vida. Un solo recurso que me llevó a salir de la cáscara protectora del hábito y la familiaridad: el dolor. Sí, fue el gran sufrimiento que sentí de niña que me llevó a esforzarme en una búsqueda continua de mí misma. El vacío en mi pecho que siento desde que tengo memoria de mí, fue el motor más poderoso de mi revolución humana y todavía lo es. La depresión que sufrí en la adolescencia fue la salida de un camino que estaba ya escrito para mí por la sociedad en la que crecí: un diploma, tal vez un título universitario, solo para mostrarlo con los demás ciudadanos, y ciertamente un trabajo cerca de casa hasta el matrimonio con el primer amor, coronado con uno o más embarazos. Este era el futuro que esperaba. Que todos esperaban de mí. El futuro que pensaba querer. Pero la vida tenía algo más reservado para mí. Solo que es difícil abandonar las expectativas, los sueños de niño y todo lo que es familiar. Es difícil recorrer caminos no asfaltados, a menudo llenos de baches y peligros. Elegir el camino más difícil no es fácil. Entonces, al igual que una madre compasiva regaña a su hijo cuando comete un error, la vida me dio un buen impulso. Un nuevo comienzo, poniendo a cero todo. Sí, porque como dice una querida amiga mía, la depresión es un cero del alma. O seguro que eso fue para mí. A partir de ese cero lo reconstruí todo. Reconstruí mi identidad, mis sueños y mi camino. Y para hacer esto tuve que dar mi primer salto al vacío, a mi agujero negro personal. El primer viaje fue el más importante: aquello en busca de mí misma, para mirar hacia adentro y enfrentar mi dolor. Me gustaría decir que desde entonces el viaje ha sido cuesta abajo, pero no es así. A cada nueva partida o desafío que se me presenta, el miedo siempre regresa. La incomodidad, la falta de equilibrio son mis primeras compañeras de viaje. Y cuando la resistencia al cambio es demasiado fuerte, la vida regresa con sus sacudidas compasivas, y me trae otros desafíos come el cáncer: mi gran maestro. Es una lucha. Eterna. Y definitivamente desafiante. Pero alcanzable. Y con tiempos de recuperación cada vez más rápidos, con satisfacciones cada vez mayores y pasos cada vez más largos. Ahora, cada vez que hay algo nuevo o un obstáculo que me obliga a abandonar mi cáscara segura, le doy la bienvenida como otra oportunidad que la vida me brinda para abrirme al mundo, para superarme y superar mis límites. Y de hecho mejoro, supero los límites y amplío la zona de confort. Me enfrento a todo con coraje y luego me voy a casa, para disfrutar de lo que hay entre el final de una aventura y el comienzo de la siguiente: ¡un buen libro tumbada en el sofá y una taza de chocolate!

Come le doglie

C’è una solitudine che non riesce a stare sola e ti porta in giro a cercare cose da fare e gente da vedere. Una solitudine che si nasconde dietro impegni importanti e scadenze da rispettare. Una solitudine che non parla e che non si ascolta, che fugge da se stessa perché non si accetta. Che preferisce accontentarsi di poco, piuttosto che viversi. Una solitudine codarda, che strappa le radici per paura della fatica che comporta prendersene cura.

E poi c’è una solitudine rumorosa, che non ti lascia dormire la notte e di giorno ti distoglie dal qui e ora, parlandoti del passato. Una solitudine che grida per essere accolta e accettata. Una solitudine che leviga e imbellisce l’animo perché non si accontenta e non elemosina, non si sfinisce in una corsa contro il tempo per non pensare. È una solitudine amica, che svuota per lasciare spazio, che scava dentro per piantare nuovi semi.

Io le ho vissute entrambe nella mia vita e ho imparato a diffidare dell’una e a immergermi nell’altra. È un processo doloroso ma necessario, come le doglie per una donna gravida.

Se la vita stessa viene fuori grazie alla sofferenza, come si può crescere evitando il dolore?


Hay una soledad que no puede estar sola y te lleva a buscar cosas que hacer y personas que ver. Una soledad que se esconde detrás de importantes compromisos y plazos que hay que respetar. Una soledad que no habla y que no se escucha, que se escapa de sí misma porque no se acepta. Que prefiere conformarse con poco, en lugar de vivir. Una soledad cobarde, que arraiga por temor al esfuerzo que supone cuidarla.

Y luego hay una soledad ruidosa, que no te deja dormir por la noche y durante el día te distrae del aquí y ahora, hablándote del pasado. Una soledad que clama ser aceptada y acogida. Una soledad que suaviza y embellece el alma porque no está satisfecha y no ruega, no se agota en una carrera contra el tiempo para no pensar. Es una soledad amigable, que vacía para dejar espacio, que cava para plantar nuevas semillas.

Yo viví las dos en mi vida y aprendí a desconfiar de una y sumergirme en la otra. Es un proceso doloroso pero necesario, como los dolores del parto de una mujer embarazada.
Si la vida misma surge del sufrimiento, ¿cómo podemos crecer evitando el dolor?

Frammenti sul genere

 

Caro Ste!

Rido e non solo per la battuta. Rido per quello che sto per dire, perché non avrei mai pensato di dire dirlo ad un uomo. E ora riderai anche tu: non puoi aver più ragione di così! Su tutto!

Ma andiamo in ordine.

Dici che voi uomini non siete socialmente abituati ad esprimere le emozioni. Esatto! Che bisognerebbe essere educati alle emozioni. Giustissimo! Pensa che questo è quello che faccio nella vita, in quanto educatrice. Laboratori di alfabetizzazione emotiva: capire cosa sono le emozioni, quali sono, che non sono giuste o sbagliate, in quali parti del corpo le sentiamo, come gestirle. Questi laboratori, però, non sono indirizzati solo ai maschi. Anche noi donne non siamo abituate ad esprimere le emozioni. Certo starai pensando che non è così, che noi donne parliamo di più, piangiamo di più, gridiamo di più. Si, è vero ma questo non ha a che vedere con la consapevolezza e la gestione delle proprie emozioni. Probabilmente ha a che fare con l’esatto contrario. Siamo così educate a pensare secondo un ordine simbolico maschile che sin da bambine smettiamo di sentirci noi e iniziamo a desiderare di essere voi. Ma siccome non lo siamo finiamo per essere un ibrido: donne che sentono ma non vogliono sentire, che vogliono essere “virili” per non essere considerate delle “femminucce” e che quindi trattengono più che possono, finché non esplodono. E il paradosso è che è proprio il non voler essere considerate delle “femminucce” che ci porta ad avere quegli atteggiamenti grazie ai quali si crea lo stereotipo della donna isterica e piagnucolosa. Cosa ne pensi?

Per quando riguarda il resto, mi trovi d’accordo con te anche nel pensare che siamo tutti un po’ barche, un po’ passeggeri, un po’ scogli.. e poi c’è chi ha la fortuna di essere casa. Credo che ciò non dipenda solo dal momento in cui ci troviamo, ma anche da con chi ci relazioniamo. Posso dirti con certezza che sono stata relitto per qualcuno, roccia per altri, passeggera con molti e adesso voglio essere casa. E voglio essere casa, anche per chi casa non sarà per me. Ma tu già lo sai.

Ti abbraccio

Eli

Tirando le fila del blog (lavori in corso)

Stava male. Non riusciva a pensare a nient’altro che a questo. Beh, a questo e anche al suo libro. Sin da quando aveva memoria di sé, aveva sempre saputo che c’era un libro dentro di lei. Non che si credesse una scrittrice o qualcosa di simile, come una blogger o una giornalista. No, no, niente di tutto ciò. Solo che custodiva dentro di sé una storia che andava raccontata, e quale miglior modo di raccontarla se non con un libro?

Che storia? Non lo sapeva e stava male anche per questo. Oltre che per mille altre buonissime ragioni. Si, perché lei non era una di quelle che soffrono per un esame andato male o per un’ammaccatura sulla macchina.  E’ vero che la sofferenza è sofferenza sempre, ma diciamocelo, alcune volte si soffre proprio per delle cazzate! Che so, per una persona che ti insulta sull’autobus o per una donna che ti provoca invidia per quanto è bella, mentre tu sei alta un metro e 62 (sulla carta di identità, se ti va bene!), hai i capelli che sembrano quelli delle barbie a cui hai fatto e rifatto lo shampoo da bambina e le uniche forme che ti ritrovi sono quelle di formaggio con cui ti sfondi a pranzo e a cena (e durante lo spuntino di mezzanotte).

Ma lei no, non si accontentava di soffrire superficialmente. Come per ogni cosa che faceva, andava fino in fondo. E infatti lei soffriva perché sentiva il mondo. O meglio sentiva il mondo quando soffre. Poi aveva anche il cancro e una famiglia che al confronto quella degli Adams sembra il mulino bianco, ma queste erano bazzecole se paragonate al buco che le squarciava il petto e che lei chiamava il vuoto.

Per un periodo della sua vita, durante l’adolescenza, non era riuscita a gestire il suo “sentire” e così aveva iniziato a bere e a fumare erba. Ma era troppo intelligente per non capire che quei sotterfugi non duravano abbastanza e che poi le presentavano un conto molto amaro, fatto di mal di testa, vomito e vuoti ancora più profondi. Così smise, con la stessa lucidità con cui aveva iniziato, e cominciò la sua ricerca di una luce in fondo a quel tunnel, una luce che non fosse solo un miraggio provocato da alcool e stupefacenti.

Il primo esperimento fu, ovviamente, l’amore. Penserete “che banalità!”, e lo pensava anche lei in realtà. Qualcosa nelle favole e nei romanzi d’amore non l’aveva mai convinta del tutto, e non sto parlando solo della storiella del ranocchio (palese tentativo di convincere le belle donne che anche i cessi possono renderle felici) ma dell’attesa. Proprio così, l’attesa. Fateci caso: che si tratti di favole o di film, c’è sempre una donna (raramente un uomo) che aspetta o di essere salvata dalle grinfie di qualche regina cattiva (anche qui raramente uomini cattivi… seriamente????) o di ricevere una qualche prova che le restituisca la fiducia nell’amore (solo dopo che il principe di turno ha involontariamente fatto cadere il suo cuore nel tritarifiuti). Ben presto, infatti, si era resa conto che questa storia dell’attesa era una grande fregatura per le donne, perché mentre loro si fermavano ad attendere la trasformazione (ahimè, spesso solo interiore) del ranocchio, gli uomini andavano avanti e le superavano sul lavoro, e non solo: mostravano la loro spada lucente a molte più principesse di quelle che effettivamente salvavano!  E le donne? Addormentate! in tutti i sensi.

Ad ogni modo l’esperimento fu un fallimento totale, che provò a ripetere più volte nel corso degli anni ma con risultati sempre più deludenti, seguendo lo schema di una relazione inversamente proporzionale: più lei si impegnava (e si impegnava tanto, per dio! Fino alla fine, come in ogni cosa che faceva) più l’altro se ne fregava. Anziché un antidoto contro il vuoto cosmico che le procurava la sofferenza degli altri, otteneva un veleno ancora più potente. Così, un giorno decise che se non poteva smettere di sentire il dolore del mondo allora lo avrebbe salvato. E come sempre giù per una strada fino in fondo: volontariato, lauree, lavoro, master, tirocini, missioni in luoghi sperduti e pericolosi, dottorato: tutto secondo un progetto logico e ben pianificato, con il fine ultimo di fare la differenza.

Povera illusa.  Come poteva credere davvero che l’universo le avrebbe permesso di dedicare tutte le sue energie in una missione suicida? Non è possibile salvare nessuno a questo mondo, l’unica persona che puoi salvare è te stessa. E dopo averlo fatto, allora puoi offrire quello che hai capito agli altri. Ma prima devi riempire quel vuoto che hai dentro e non puoi farlo senza capire perché lo senti. E così l’universo ti manda il maestro più saggio per impartirti questa lezione.

Il cancro.

Web Analytics Made Easy - StatCounter

Il mantra di Platino

Poche cose ti erodono dentro come sentirsi soli in due.

Quella sofferenza latente ma costante, fastidiosa come un rubinetto che perde, ma che ad un certo punto ti erutta fuori dal cuore senza scampo. E ti lascia lì pietrificata, come una statua di lava.

All’inizio credi che puoi aggiustare tutto, che basti avvitare bene la relazione per sistemare la perdita d’amore. Ma mentre ci provi passa il tempo, e più cerchi la complicità dell’altro più scopri che hai davanti un muro di gomma. Continui a rimbalzare fra una promessa e una sfuriata finché non sei sfinita. E ti arrendi.

Ti arrendi perché hai capito che per essere veramente in due non bastano due persone che stanno insieme. È necessario decidere costantemente di esserci l’uno per l’altra e viceversa, senza se e senza ma. E non tutti lo sanno fare, così come non tutti capiscono la differenza fra scusarsi e giustificarsi o l’importanza di non classificare la sofferenza dell’altra in base ai propri standard. Ma soprattutto pochissimi hanno il coraggio di fare quel gesto che non comprendono, che magari nemmeno condividono, solo perché fa stare bene la persona amata.

La cosidetta Regola di Platino: non fare agli altri quello che vorresti facessero a te, ma fai loro quello che vogliono che tu faccia loro.

Il segreto per una relazione duratura è decidere nel proprio cuore di fare tutto ciò che è in nostro potere e che non ci danneggia, per far stare bene la persona a cui vogliamo bene. Anche se non vogliamo lo stesso per noi, anche se non ne comprendiamo il bisogno perché noi non ne abbiamo dello stesso tipo.  Anche se ci sembra banale, o infantile, o strano.

“Se posso fare ciò che può renderti felice, voglio farlo! anche se non lo capisco.” Questo è il mantra delle coppie sane. Il mantra di Platino.

Web Analytics Made Easy - StatCounter

Abbiate il coraggio di restare soli

“Abbiate il coraggio di restare soli.” Questa è la frase del tuo discorso che più mi è rimasta impressa. Capisco perfettamente cosa volevi dire caro Mimmo.

Lottare per la pace e per i diritti di tutti è difficile quando sei circondata da persone che non si espongono per paura o che cercano di piacere a tutti. La tua voce diventa fastidiosa per coloro che non vogliono “smuovere le acque” e nemmeno la propria coscienza. Ma questo l’ho sempre saputo.

Quello che non sapevo è che pure fra i giusti ci sono gli incoerenti.

Quelli che predicano bene in campagna elettorale e subito dopo rispondono alle tue perplessità con un semplice “io non ti ho chiesto di votarmi”.

Quelli che lavorano nel sociale, che si spaccano per cambiare la società senza però cambiare se stessi, che fanno le scarpe ai colleghi e parlano pure alle loro spalle.

Quelli che tacciono davanti all’incoerenza degli altri per mantenere il loro status quo.

E poi quelli che vogliono educare gli altri alla pace senza conoscere la differenza fra chiedere scusa e giustificare se stessi.

È difficile restare soli fra i giusti. È difficile dire ciò che pensi sapendo che questo ti brucerà la terra attorno. Ma sono convinta che non ci possa essere altra via verso la giustizia se non quella di non scendere mai a compromessi. Nemmeno con i giusti. Soprattutto con i giusti. E soprattutto se hai scelto il mestiere di educatrice.

Si educa con il proprio esempio, anche quando costa caro. Anche quando significa restare soli.

Per fortuna che il coraggio è l’unica cosa che non mi manca!

Web Analytics Made Easy - StatCounter

Chi sia accontenta muore

 

Ogni volta che ho scelto di non parlare per paura. E pure quando non mi sono ribellata al male.

Ogni volta che ho accettato un ricatto per non essere abbandonata. E quelle volte in cui ho subito in silenzio.

Ogni volta che ho pensato di non essere abbastanza. E ogni volta che ho lasciato che qualcuno me lo facesse credere.

Ogni volta che non ho pianto per vergogna. E tutte quelle in cui l’ho fatto sommessamente, per non disturbare.

Ogni volta che non ho preteso rispetto. E pure quelle volte in cui ho barattato la mia dignità con un poco di carezze.

Ogni volta in cui non mi sono amata abbastanza da proteggermi.

Ogni volta che ho elemosinato affetto. E tutte le volte in cui ho camminato in punta di piedi nella vita degli altri.

Ogni volta che ho pensato di non meritare di più e anche quando mi sono accontentata delle briciole.

Ognuno di queste volte, il cancro si è fatto strada dentro di me. Ogni volta stavo morendo poco a poco.

Mi piacciono le persone oneste, quelle che dicono apertamente ciò che sentono, che pensano quello che dicono e soprattutto che lo dicono in faccia. Stimo i coerenti, quelli che predicano bene e razzolano meglio, per i quali l’esempio vale più di mille parole. E poi le persone sincere, che non raccontano bugie a nessuno, neanche a se stesse. E gli umili, che quando sbagliano chiedono scusa senza se e senza ma, perché non si vergognano di ammettere i propri errori. Mi piacciono anche i giusti,  quelli che non solo fanno il bene ma si schierano apertamente contro il male.

Mi piacciono tutti coloro che hanno una o più caratteristiche di quelle che ho appena elencato. E poi amo profondamente le persone che le possiedono tutte, quelle che io definisco “vere educatrici”.

Si, perché se fai l’educatrice ma non sei onesta, coerente, sincera, umile e giusta, hai sbagliato tutto: hai scelto l’unico lavoro che non si fa ma si è.

 


 

Me gustan las personas honestas, aquellas que dicen abiertamente lo que sienten, que piensan lo que dicen y, sobre todo, que lo dicen a la cara. Aprecio a los coherentes, a los que predican bien y lo hacen mejor, para quienes el ejemplo vale más que mil palabras. Y luego las personas sinceras, que no dicen mentiras a nadie, ni siquiera a sí mismas. Y los humildes, que cuando cometen errores se disculpan sin peros, porque no se avergüenzan de admitir sus errores. También me gustan los justos, aquellos que no solo hacen el bien sino que se oponen abiertamente al mal.

Me gustan todos aquellos que tienen una o más características de las que acabo de enumerar. Y luego amo profundamente a las personas que las poseen todas, las que llamo “verdaderas educadoras”.

Sí, porque si eres una educadora pero no eres honesta, coherente, sincera, humilde y justa, lo estás haciendo mal: has elegido el único trabajo que no hay que hacer, sino hay que ser.

La felicità è un muscolo

La vittoria non è un punto fisso, una meta da raggiungere. È una serie infinita di punti, un percorso che non finisce mai. Non è  l’obiettivo che vuoi realizzare o la malattia che vuoi sconfiggere. Ci sono giorni in cui può sembrarti che lo sia ma è solo un’illusione. La vittoria è dinamica, mutevole, si adatta agli ostacoli e cambia come cambiano le stagioni. Non è il capolinea di una strada dritta, lineare, ma il centro di una spirale infinita.

Tu credi che l’obiettivo che stai perseguendo ti renderà felice e invece dopo averlo raggiunto, capisci che è stata proprio la lotta a colorare la tua vita e che gli ostacoli sono sono delle linee che separano chi eri prima da chi sei dopo averli superati. L’obiettivo in realtà sei e sei sempre stato tu: la vittoria con la V maiuscola, la felicità che non dipende da niente e da nessuno. Quella che viene da dentro, quella assoluta.

Una vittoria senza forma o sapore che quasi sempre arriva silenziosa, senza grandi cerimonie. E così come arriva se ne va. Si perché non è un punto fisso nel tempo e nello spazio, non è un traguardo da oltrepassare, ma piuttosto il carburante che ti permette di arrivarci.  È come una caccia al tesoro, nella quale ogni indizio trovato ti fa andare avanti, ti da la carica che serve per continuare ma non è mai sufficiente da solo per vincere il premio. La felicità assoluta è ciò che ti permette di percepire gli ostacoli come opportunità e la sofferenza importante tanto quanto la gioia.

Eppure anche se l’hai provata una o mille volte, la dimenticherai ogni volta che avrai di fronte una grande sfida. Già, perché in realtà  non è data una volta per tutte. È come vincere una corsa e se vuoi continuare a gareggiare e vincerne altre, dovrai continuare ad allenare le tue gambe. Ecco per la felicità assoluta vale lo stesso, è come un muscolo e va allenata e la vittoria non è il premio in sè ma il continuo allenamento che ti permette di vincerlo.

 

 

 

35.

Fa che rimangano 35 le persone a cui è stata rubata la vita. 35 coloro che non riabbracceranno i loro cari, che non festeggeranno più compleanni e capodanni, che non rideranno, non ameranno, non sogneranno più.

35 le vite umane spazzate via dal cemento e dalla negligenza. Fa che rimangano 35!

E mentre preghiamo affinché nessun’altra morte ci diminuisca, ricordiamoci delle vite che ancora possiamo salvare. Coloro che a centinaia stanno morendo in mare.

Non mi viene in mente altro modo di onorare le persone che abbiamo perso se non salvando quelle che ancora ci rimangono da proteggere.

Come mi merito

Tanti sono stati i rifiuti e gli abbandoni e per troppo tempo ho creduto che il motivo fosse che ero una persona “difficile da amare”.

Quando un fraintendimento inaspriva la comunicazione, non mi sono mai accontetata di un “lasciamo perdere”, perché so bene che a furia di lasciar correre ti scappa via anche il sentimento.

Quando era necessario impegnarsi di più, ho sempre lottato allo stremo delle mie forze, spesso anche per l’altra persona. E questo gli ha permesso di adagiarsi sugli allori e considerarmi “scontata”, per poi stupirsi dei miei crolli emotivi.

Quando l’altro non si comportava all’altezza della persona che voleva essere, ho sempre cercato di farglielo notare e lui ha preferito vedere una critica su ciò che era andato male, dove invece c’era la fiducia in ciò che poteva essere migliorato.

Ho sempre pensato di aver sbagliato tutto. Oggi so che non sono io ad essere “difficile” ma sono le persone che si sono allontanate da me, che non avevano il cuore abbastanza grande da contenere l’universo che ho dentro; che non avevano la coerenza necessaria per rimanere fedeli alle promesse che mi avevano fatto; ma soprattutto, che non avevano la speranza né il coraggio di lottare per il mondo che io ancora credo possibile.

Eh si, io non sono “difficile da amare” ma di certo, non è facile amarmi come io mi merito.

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi fanno paura gli stranieri

Non mi fa paura Salvini. Né mi fanno paura i razzisti che lo seguono.

Temo i giusti che rimangono in silenzio. Quelli che non si espongono per non entrare in conflitto. Coloro che non si schierano per par condicio o per diplomazia. E mi fanno paura coloro che continuano le loro vite come se nulla fosse.

Mi fanno paura gli ipocriti che si nascondono dietro le varie “E la guerra in Siria?”, “E gli italiani?, “e allora il Pd?”.

Temo quelli che celebrano le giornate della memoria, che postano dappertutto link per ricordare i vari genocidi e poi si voltano dall’altra parte quando il loro stesso governo è complice di un olocausto.

Mi fanno paura quelli che credevo fossero miei amici, quelli che pensavo stessero dalla parte giusta della storia e invece no.

Mi fanno paura gli stranieri, coloro che non rispettano la Costituzione, quelli che non portano avanti gli ideali e i valori del mio Paese. E che nella maggior parte dei casi non sono immigrati, ma italiani.

 

 

 

 

 

 

 

E continuo a scrivere perché è il mio modo di resistere, perché mi serve a vomitare fuori il veleno, perché le parole sono importanti. E lo faccio per lasciare una traccia, affinché un giorno le mie figlie e i miei figli sappiano che io ero dalla parte giusta di questa guerra. E continuo a scrivere perché continuo a sperare, perché ancora ci credo, perché ancora ci provo a smuovere le coscienze di chi mi sta accanto.

E continuo a farlo, perché se non lo faccio potrei perdermi in questo buco nero di sofferenza.

Italia mia

Il mio Paese è  in guerra. Solo che ad essere bombardati non sono le città ma i cuori, e il campo di battaglia è dentro le persone, non fuori.

Il mio Paese sta sanguinando. I suoi figli Rom, gay e di colore vengono picchiati, feriti con pistole, minacciati di morte.

Il mio Paese ha un cimitero grande quanto il mare e un Ministro dell’odio che lavora, instancabile, per riempirlo di cadaveri.

Il mio Paese è  spaccato a metà: da una parte il disprezzo, dall’altra la compassione. Da una parte l’ omissione di soccorso, il razzismo, l’omofobia e dall’altra l’accoglienza, la lotta contro le ingiustizie, il desiderio di libertà e uguaglianza.

Il mio Paese è  in guerra. Ma ancora non lo sa.

Sto perdendo tanto in queste settimane. Vite umane prima di tutto. Ma non solo. Sto perdendo la fiducia nel mio Paese, sto perdendo la pazienza ma soprattutto sto perdendo amici e amiche.

Li perdo quando sento un loro commento razzista, che prima non si sarebbero mai permessi di fare. Adesso si sentono tutti autorizzati grazie al superpotere di Salvini: autorizzare gli istinti più mostruosi.

Li perdo quando per giustificare la loro assoluta mancanza di umanità ed empatia, mi dicono che sono troppo sensibile.

E poi li perdo – ed è soprattutto così  che stanno avvenendo genocidi nel mio cuore – quando stanno zitti. Quando si voltano dall’altra parte. Quando non si schierano. Quando pubblicano qualche bella frase buddista o di Nelson Mandela e poi non spendono una parola su quello che sta succedendo nel nostro Paese.

Li perdo così, come piccole luci che si spengono piano piano. E all’improvviso è come se non ci fossero mai stati. Con naturalezza, senza sforzo e senza drammi, semplicemente mi appassiscono dentro.

Per questo, se un giorno scopri di non essere più mio amico sui social o se mi vedi e non ti sembro più la solita Elisabeth, se mi scrivi e ti rispondo a monosillabi… Non farti troppe domande (e soprattutto non farle a me): hai solo smesso di esistere nel mio mondo.


Estoy perdiendo mucho en estas semanas. Seres humanos, en primer lugar. Pero no solo ellos. Estoy perdiendo la fe en mi país, estoy perdiendo la paciencia, pero sobre todo estoy perdiendo amigas y amigos.

Los pierdo cuando escucho sus comentarios racistas, que nunca se hubieran permitido hacer antes. Ahora todos se sienten autorizados gracias al superpoder de Salvini: aprobar los instintos más monstruosos.

Los pierdo cuando, para justificar su absoluta falta de humanidad y de empatía, me dicen que soy demasiado sensible.

Y luego los pierdo – y es así que ocurren genocidios en mi corazón – cuando se quedan en silencio. Cuando miran para otro lado. Cuando no toman partido. Cuando publican algunas hermosas oraciones budistas o de Nelson Mandela y luego no dicen una palabra sobre lo que está sucediendo en nuestro país.

Los pierdo así, como pequeñas luces que se apagan lentamente. Y de repente es como si nunca hubieran estado en mi vida. Naturalmente, sin esfuerzo y sin drama, simplemente me marchitan dentro.

Por esta razón, si un día descubres que ya no eres mi amigo en las redes sociales o si me ves y ya no te parezco a la habitual Elisabeth, si me escribes y te respondo en monosílabos… No te hagas demasiadas preguntas (y sobre todo no me preguntes a mí ): solo dejaste de existir en mi mundo.

 

Le urla senza voce

Arrivano nei momenti di solitudine, quando c’è silenzio nella stanza e nella mia testa. Quando non ho qualcosa da fare o da sistemare, quando non ho qualcuno di cui prendermi cura e posso ascoltarle, arrivano.

Da lontano o da vicino, arrivano, senza nessun filtro. Cariche di disperazione e di rabbia.

E allora mi fermo. Mi lascio sommergere. Attraversare. Riempire. Fino a non sentire più  di essere una sola, fino a sentire quel filo che mi lega a tutti gli altri, quel richiamo atavico dentro di me che mi fa sentire parte di un tutto.

Ed è in quel momento che sento quel dolore straziante alla bocca dello stomaco, che non mi uccide ma mi diminuisce, che non mi lascia cicatrici addosso ma mi rende partecipe fino a lasciarmi sfinita, senza respiro.

Lo sento e lo sento fin dentro le ossa. Lascio che mi scavi dentro, senza fretta. Senza paura. Non come una volta, quando non sapevo che farne.

Oggi più che mai non vorrei mai smettere di sentirlo. Oggi più  che mai non vorrei perdere la mia umanità.

Così  quando arrivano io le ascolto. Le urla mute di chi non ha voce in questo mondo. Oggi più che mai. Perché oggi sono io la loro voce.

Una lotta impari

La lotta fra chi dice la verità e chi diffonde – o si fida – delle bufale, sarà  sempre una lotta impari.

La verità costa fatica, le bufale no.

Per raccontare un fatto vero hai bisogno dei dati e delle loro fonti, dell’accuratezza dei dettagli.

Per raccontare bugie non ti serve nulla di tutto questo. Puoi e anzi devi essere approssimativo e superficiale. Basta una foto presa dal web e un titolo ad effetto.

Chi racconta la verità, poi, spesso deve scontrarsi con persone che non leggono molto e che di sicuro non leggeranno quell’articolo di 5000 caratteri che hai appena postato e che smonterebbe i loro discorsi in un minuto.

Quando scrivi o parli basandoti sui fatti devi fare uno sforzo continuo per ricordare, per essere chiara, per restare sul contenuto e non farti trascinare ai livelli di chi parla per frasi fatte, luoghi comuni e insulti.

Chi, al contrario, non è realmente informato ma si limita a ripetere quelle due o tre bufale costruite per essere facilmente ricordabili, non deve fare alcuno sforzo e può seminare la disinformazione molto più  velocemente rispetto a chi si impegna per la verità.

Per tutte queste ragioni si tratta di una lotta che non sarà mai alla pari. Se vuoi giustizia, dovrai presto accettare di essere etichettata come la polemica del gruppo, la scassacazzi, la ipersensibile. Dovrai sempre sentirti dire cose come “oh Mamma, e fattela na risata” o peggio ancora: “ma hai il ciclo?”. Sarai costretta a chiudere con certe persone che non riescono a centrare una conversazione sui contenuti, e che hanno l’insulto facile. Verrai spesso delusa, perché saranno sempre di più gli ignoranti “per scelta” rispetto a coloro che, pur non conoscendo la verità, hanno il vero desiderio di scoprirla. A fine giornata, capiterà molte volte di ritrovarti completamente prosciugata, senza energie per tutto il tempo che hai passato a parlare o scrivere e almeno una volta su due ti riprometterai di non farlo più, di smettere di parlare con “certa gente”.

Ma in fondo lo sai che non smetterai, perché per fortuna non hai smesso di credere nel potere della verità e nel potenziale delle persone.

 

Lettera aperta a Matteo Salvini

Se potessi guardarti in faccia, Matteo, non cercherei di spiegarti che i flussi migratori non si possono fermare, che sono ciò che ha permesso all’umanità di progredire, non cercherei nemmeno di dimostrarti che tutte le falsità che dici sui migranti sono assolutamente infondate, e non ti accuserei di essere un razzista. Se ti avessi davanti in questo momento non ti insulterei, non ti griderei che sei solo un assassino che fa propaganda sulla pelle di innocenti. Non ti giudicherei un mostro.

Se ti avessi di fronte mi inginocchierei  e ti supplicherei di salvarli. Ti implorerei di far emergere l’umanità che c’è  in te. Ti guarderei dritto negli occhi e ti pregherei di diventare il governante che ci meritiamo, un uomo giusto, che a prescindere dall’ideologia politica, crede nella sacralità della vita.

Se potessi, cercherei nel tuo cuore quella verità che sicuramente la parte più atavica di te sa: non si può costruire uno Stato sui cadaveri. Pagheremo il prezzo di queste scelte e non avremo scampo, perché la vita vince sempre: alla fine troverà il modo di abbattere chi non la rispetta.

Se ti avessi di fronte, ti abbraccerei per sciogliere quel ghiaccio che ti è cresciuto dentro, sussurrando alla parte più umana di te che ho ancora fiducia in lei.

E finalmente diventeresti un eroe che salva vite, invece di essere il ministro d’odio che le lascia annegare nel nostro mare.

Non hai bisogno di lasciar morire delle persone innocenti per accrescere la stima degli italiani in te. Hai bisogno di diventare quel politico che se la merita davvero. Hai bisogno di diventare un essere umano.


Si pudiera mirarte en la cara Matteo, no intentaría explicarte que los flujos migratorios no se pueden detener, que son lo que permitió que la humanidad progresara; ni siquiera intentaría mostrarte que todas las falsedades que dices sobre los migrantes son absolutamente infundadas. Y no te acusaría de ser racista. Si te tuviera enfrente ahora mismo, no te insultaría, no te gritaría que solo eres un asesino que se hace propaganda sobre la piel de inocentes. No te juzgaría como un monstruo.

Si te enfrentara, me arrodillaría y te rogaría que los salvaras. Te imploraría que sacaras la humanidad que está en ti. Te miraría a los ojos y te pediría que te convirtieras en el gobernante que merecemos, un hombre justo que, independientemente de la ideología política, cree en la santidad de la vida.

Si pudiera, buscaría en tu corazón la verdad que seguramente la parte más atávica de ti sabe: no puedes construir un Estado sobre los cadáveres. Pagaremos el precio de estas elecciones y no tendremos escapatoria, porque la vida siempre gana: al final, encontrará una manera de derribar a quien no la respeta.

Si te enfrentara, te abrazaría para derretir el hielo que crece dentro de ti, susurrándo a la parte más humana de ti, que todavía confío en ella.

Y por fin, te convertirías en un héroe que salva vidas, en lugar de ser el ministro del odio que ahoga vidas inocentes en nuestro mar.

No es necesario dejar que mueran personas inocentes para que los italianos confíen en ti. Al contrario, debes convertirte en ese político que realmente merece la estima de su nación. Debes convertirte en un ser humano.